Morto Stalin, se ne fa un altro. Umorismo nero per riflettere sulle dinamiche di un potere malato

In “Morto Stalin, se ne fa un altro” la morte di Josif Stalin (vicenda piuttosto assurda e controversa già per come è realmente avvenuta) serve ad Armando Giovanni Iannucci, comico e regista inglese, per mostrare sorridendo le dinamiche relative agli intrecci di potere e interessi presenti in un regime antidemocratico (e forse a volte anche in qualcuno democratico).

 

Josif Stalin è morto all’improvviso per un Ictus il 5 marzo 1953 dopo alcuni giorni di agonia; ancora oggi la sua morte e gli eventi ad essa succeduti sono oggetto di discussione storica, sia a causa di un ritardo nei soccorsi, sia per ipotesi mai confermate di avvelenamento.

Iannucci utilizza la morte dello statista (narrata ispirandosi al fumetto di Fabien Nury e Thierry Robin) per sviluppare una serie di gag gestite da un ottimo gruppo di attori, tra i quali spicca Steve Buscemi nel ruolo di Nikita Kruščëv. Tutti i personaggi sono “cattivi” intimoriti inizialmente da un possibile risveglio dello statista (noto per il suo regime di terrore che viene presentato già all’inizio del film con l’episodio del concerto), successivamente interessati a prendere la guida del partito e del paese con ogni mezzo mostrandoci così una sorta di antologia diella malvagità e dell’abiezione.

Morto Stalin, se ne fa un’altro
Si va dal debole e poco intelligente Malenkov (interpretato da Jeffrey Tambor) che diviene subito marionetta dei suoi compagni, all’anima nera di Lavrentij Berija (Simon Russell Beale) disposto ad ogni bassezza pur di ottenere il potere: agisce egoisticamente da solo (ed è maniaco sessuale). Gli altri membri del Politburo più imbranati cercano alleanze tra loro sempre con il fine di controllare le decisioni del partito; a questi si aggiungono l’esercito e la polizia segreta in un balletto di gag grottesche intorno alla successone del grande statista.

Proprio lo stile delle comiche dove gli attori ci parlano non solo con i testi ma sopratutto con toni di voce, espressioni del volto e movimenti del corpo, guida tutto il film che mantiene così un ritmo acceso in contrasto con il tema della morte (geniale l’idea di una pozza di urina vicino al corpo dello statista appena rinvenuto nella sua stanza, che costringe i vari personaggi a mimiche e commenti esilaranti in contrasto con la drammaticità dell’evento rappresentato).

Il regime Stalinista è rappresentato nel suo terrore instaurato con le sue liste di persone che dall’oggi al domani dovevano essere eliminate, e gestito da un politburo di marionette pronte però a qualsiasi individualismo pur di ottenere il potere. Il film utilizza proprio questo regime come spunto per ricordarci che quando il potere diviene unico fine e obiettivo per la classe dirigente, mettendo in secondo piano il bene e lo sviluppo dei cittadini, il governo si riduce a macabra farsa autodistruttiva.

/// il trailer ///

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