…“Dopo aver perso le gambe, trovò Gesù!”
“Be’ scusate ma non mi pare granchè come scambio”. ..
Il tema della fortuna, dell’incidenza potente e ineluttabile del caso nel destino più o meno felice che le nostre vite possono prendere, analizzata col cinismo caro a Woody Allen, è diventato una delle tematiche più care al pensiero cinematografico del regista di Manhattan. Talvolta il cineasta di Brooklyn la declina in chiave leggera e divertente (basti ricordare il perfetto La dea dell’amore oppure il piacevolissimo Basta che funzioni); in altri casi questo tema assume la forma di un racconto cinematografico drammatico e giallo, che non disdegna incursioni in strutture da vera e propria tragedia greca.
Woody ci aveva già provato nel 1989 con Crimini e misfatti, dove assieme a Martin Landau dava vita a una grande messa in scena delle ripercussioni incontrollabili che la scelta di praticare il Male può determinare, mitigate e governate solo, nella nostra esistenza, dall’assoluto Caso, padrone di tutto come un Deus ex machina. In quella circostanza Allen aveva lasciato che la sua proverbiale ironia accarezzasse il film, condendolo con molte battute e situazioni lievi (rappresentate anche dalla scelta di Allen medesimo come co-protagonista). Poi, nel 2004 Allen ha raggiunto con Match Point un apice non solo di questo suo particolare gusto per il dramma (ricordiamo che lui stesso non dimentica mai di sottolineare come vorrebbe essere un regista “serio” ma non ne ha l’abilità), ma anche uno dei vertici della sua intera carriera. Con un’opera cupa, inesorabilmente senza concessioni alla vittoria della speranza, dell’happy ending, del Bene. Esordio oltreoceano per una produzione alleniana (che poi avrebbe avuto negli anni a venire altre repliche europee, dallo spagnolo Vicky Cristina Barcelona al brutto film girato a Roma), Match Point è un film perfetto. La storia di Chris, uno spiantato maestro di tennis che, giunto a Londra, fa bingo, fidanzandosi con la figlia di un finanziere della City. Tutto sembra l’avverarsi di una favola, confezionata per un avvenire lucente. Chris commette un tragico, solo errore. Cede alla passione per la mancata futura cognata, una irresistibile Scarlett Johansson che interpreta il ruolo di Nola, una aspirante attrice americana.
Introdotto da una premessa indimenticabile, una metafora e allo stesso tempo anticipo di sceneggiatura della risoluzione del film – con la riflessione sulla vita paragonata ad una partita di tennis, dove la pallina può colpire e oltrepassare la rete oppure no, e ciò si riflette nelle conseguenze che subiremo – Match point è innanzitutto un grande film giallo. Soprattutto nell’ultima parte, è appassionante il ritmo che il regista è riuscito a infondere al film. La scena dell’omicidio, un gioiello di suspence esaltata dalla colonna sonora di musica lirica. E poi la fuga, il tentativo di nascondere le tracce. Un finale bellissimo, che chiude un crescendo iniziato come un normale dramma, un dramma salito di intensità ogni minuto. Lo potremmo definire un dramma sociale. Allen non risparmia i fendenti. L’ingessata altissima borghesia londinese che accoglie Chris è ridicola, incastrata nelle sue convenzioni e dogmi. Dal canto suo Chris incarna l’arrivismo del peggior tipo. Commettere ogni malefatto pur di farcela: non solo a Londra, ma anche nella vita. Chris legge Dostoevskji, riflette sulla fortuna e sull’esistenza. E’ di umili origini e molto intelligente, colto, ma anche abile a maneggiare un fucile. Nel quadro disegnato da Woody Allen l’unico personaggio che forse ha una “salvezza” di ordine morale è quello di Nola: la relazione con Chris la intraprende quando è sola, disperata, fragile. Arriva dal Colorado, vorrebbe successo e amore, ma incontra la persona sbagliata.
Come spesso accade nei film di Woody Allen, Match Point va letto anche come un quaderno probabilmente ricco di citazioni cinematografiche. Nel Male che si insidia nella classe sociale minore, a sovvertire il “bene” rappresentato dall’alta società, possiamo rivedere la struttura di fondo che Kurosawa aveva dato al suo Anatomia di un rapimento. Il citato crescendo finale di Match Point non può non ricordare Ossessione di Visconti (talvolta persino nei movimenti di macchina, che richiamano quelli usati da Visconti in alcune sequenze di Ossessione girate ad Ancona). Non è un esercizio irrinunciabile, per ammirare questo film, ma solo una chiave di lettura aggiuntiva, per poter trovare ulteriore ricchezza in un un’opera, che come tutti i classici del cinema, contiene tanta e stratificata bellezza come solo uno scrigno può saper fare.