Le Occasioni dell’amore, Hors-Saison, il film di Brizé Fuori Stagione con una magnifica Alba Rohrwacher, è quello che ci meritiamo questo Natale.
Questa è una lettera d’amore per il film e la lettura è consigliata con la colonna sonora di Vincent Delerm, qui
È uscito nella sale il nuovo film di Stéphane Brizé, Hors-Saison (Fuori Stagione) con il titolo italiano ‘Le Occasioni dell’Amore’, ed è meraviglioso.
Co-sceneggiato da Brizé e Marie Drucker, una giornalista e conduttrice radiofonica francese, i due si sarebbero incontrati per la prima volta anni fa e da perfetti sconosciuti avrebbero intavolato una conversazione sulle relazioni tra uomini e donne, talmente profonda ed articolata che Brizé disse alla Drucker: se mai scriverò un film sulle relazioni, ti chiamerò.
Così è andata e da questo valzer a due sensibilità, ne è risultata un’opera delicata e squisita, vera come qualcosa che difficilmente si dimentica. Un film che ammalia lo spettatore e per cui andrebbero scelte le parole con cura, la stessa cura con cui è scritto, orchestrato, recitato, musicato. Hors-Saison è un maglione fatto a mano, morbido e dai colori dell’aria bianca, quei maglioni che non vorresti mai togliere e in cui ti rifugi per proteggerti dall’inverno e per avere nostalgia.
Siamo in un piccolo comune della seducente Bretagna, che pullula di vita d’estate ma fuori stagione ha spazio soprattutto per il vento e per i visitatori in cerca di quiete.
Mathieu, Guillame Canet, è un attore in crisi che per curare l’anima sceglie un hotel del luogo, instaurando con esso e con i pochi che lo abitano un rapporto a tratti goffo e divertente, con rimandi al cinema di Jacques Tati. Mathieu è triste però e non riesce a comunicare con nessuno, subisce il suo regista al telefono (la voce è quella di Brizé), subisce la moglie sempre di fretta (la voce è quella della co-sceneggiatrice Marie Drucker), e subisce anche la macchinetta del caffè.
Tra talassoterapia, trattamenti a base di fango e selfie con il personale, le sue giornate sono vuote come quelle di un hotel fuori stagione. A porre fine a questa sorta di mercurio retrogrado, è lettera di Alice, Alba Rohrwacher, suo grande amore di 16 anni prima, che vive nella stessa cittadina e che viene a sapere della sua presenza “è un posto piccolo, le voci corrono”. E meno male. Tutto comincia così, anzi ricomincia così.
Uno dei tanti pregi del film, e forse il capo-pregio da cui scaturiscono tutti gli altri, è la sublimazione che Brizé fa degli attori, con un approccio di tipo documentaristico, trasformandoli da personaggi a persone, che siano professionisti o non professionisti. Come un alchimista che trasmuta i metalli in oro. Gli attori nel film diventano persone vere, come la dolce signora Gilberte, che ha un posto piccolo e speciale al centro del film, come fosse il suo cuore, l’amica che “è più di un’amica” per Alice, e che si stenta a credere sia un’attrice non professionista.
Questa splendida naturalezza, che non è assolutamente fortuita ma costruita e scritta minuziosamente, permette a noi spettatori di abbandonarci alla storia nel modo più puro e spontaneo.
La palette è fredda e pastello, è color vento e onde, è inverno. Poi si scalda con la festa, ah che meraviglia la festa in cui si celebra un altro amore con i canti bretoni e gli animatori che riproducono il verso degli uccelli (Brizé li porta sul set a sorpresa senza dire nulla agli attori, ecco ancora la spontaneità).
La vita è anche triste, la vita è anche una festa.
Per citare un film che era in concorso con Le Occasioni dell’Amore a Venezia80, “Finalmente (l’)Alba”
Se Mathieu, attraverso un Canet semplicemente straordinario, si fa trascinare dagli eventi che da lì a poco lo rimetteranno sul palcoscenico delle emozioni, Alice è la vera anima del film, quella che si mette tutto su cuore e spalle e il cui sentire diventa anche nostro (permettetemi di passare dal mio al nostro) in maniera viscerale. È la carta femminile de La Forza nei tarocchi, il motore che riaccende con coraggio il presente e sblocca il passato per rivivere, correggere e riscrivere un finale. La Rohrwacher nel ruolo di Alice è poesia, un’interpretazione che avrebbe meritato la Coppa Volpi. Non che non fossimo già consapevoli del suo talento, ma con l’ abito che le fa indossare Brizé, incanta e commuove ancora più forte, toccando ogni corda dell’anima come uno tsunami silenzioso. Le attese, la paura di non avere abbastanza tempo, il desiderio di ritrovarsi, il tumulto interiore, i ricordi dolorosi e le speranze, quello che prova lo viviamo in prima persona.
I luoghi sono suggestivi ed alienanti. Ci sarebbe da scrivere un capitolo a parte sul loro ruolo nel film. L’hotel è a tutti gli effetti un terzo protagonista e testimone di tenerezze e indecisioni, ma non è il solo ad accogliere parole e silenzi, ci sono gli abitacoli delle macchine, il ristorante, le case (a volte sembra un film fatto di case, come piace a Moretti), la città, la spiaggia, il mare che forse è già oceano. Le passeggiate, e il cellulare, con le foto buffe.
Il film è circolare, si apre e si chiude con la stessa inquadratura dall’alto: un taxi che percorre una strada lunga e dritta accompagnato da una musica struggente ed evocativa. Si arriva e si parte. Il film è circolare come se non ci fossero un inizio e una fine ma tutto fosse sospeso, in assenza di tempo, sempre pronto a ricominciare o come se non fosse mai davvero finito. Finisce davvero l’amore? Di qualsiasi natura esso sia.
Non è stata una coincidenza, dice Alice a Mathieu. Si è sposata, ha fatto una figlia, è andata a vivere lì e ha fatto costruire lei quell’hotel, solo per fare accadere quell’incontro, dopo tanti anni.
Mentre si vede il film, si ha già nostalgia della scena che è appena finita, che si vorrebbe subito rivivere e non lasciare andare.
Si entra nell’opera di un grande Brizé dal primo frame ma non se ne esce lasciando la sala. Il film continua per strada, a casa, nella testa, ora che ne scrivo. Ci innamoriamo di Matthieu e Alice che continuano ad essere legati da forze invisibili, oltre il tempo e lo spazio e le rispettive vite. È una seconda fine o forse no, non importa. Un senso di malinconia ci assale e ci innamora. La vita è anche triste, la vita è una festa.
Proiezionista, mi rimetta il film dall’inizio per favore.