The Room Next Door, una riflessione sull’arte di saper morire

Esce questa settimana nelle sale italiane il film vincitore del Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2024, The Room Next Door (La Stanza Accanto) prima opera in lingua inglese di Pedro Almodóvar, e adattamento – scritto dallo stesso regista – del romanzo di Sigrid Nunez Attraverso la vita (What are you going through, 2020). Un’opera che personalmente ho amato molto ma che ha deluso altri.

Quelli che temevano di non ritrovare  il regista spagnolo a New York, possono stare tranquilli: le musiche sono ancora di Alberto Iglesias, fedele collaboratore di una vita, e la quintessenza del cinema di Almodóvar è viva più che mai, anche lontano da Madrid, da Penélope Cruz e dalla lingua spagnola.
Sono pochi i registi che col passare degli anni e delle idee, riescono a mantenere un livello di cinema così alto, emotivamente mai spento, umanamente ricchissimo. Quello che più di ogni cosa ci fa riconoscere il Pedro’s touch è la forza vitale presente nelle sue opere, una forza unificante a cui rispondiamo sempre, è come se guardando un suo film riuscissimo a sentire i battiti del cuore di chi lo sta guardando con noi.
Questa forza è dirompente anche in The Room Next Door, un’opera sulla morte che però è un trionfo di vita, di colori, di arte, di moda, di libri, fotografia  e architettura. Almodóvar è i suoi film, il suo gusto personale è in ogni dettaglio, riempie ogni scena.
Dal divano verde acceso, alle tazze pantone, dai libri sul tavolo (Caravaggio, Dora Carrington, Dennis Hopper per citarne alcuni) alla fotografia della spagnola Cristina García Rodero alla parete, passando per Louise Bourgeois. Nulla è lasciato al caso e tutto è arte. Capiremo solo più avanti che che The Room Next Door è proprio un film sull’arte di saper morire
Tilda Swinton (Martha) e Julianne Moore (Ingrid) sono meravigliose nell’interpretare due amiche l’una testimone della vita dell’altra, senza imporsi con la loro presenza sulla delicatezza del tema (al contrario di quanto accade in May December di Todd Haynes, in cui i nomi glamour Julianne Moore e Natalie Portman sovrastano tutta la messa in scena, mangiano ogni cosa).
Donne coraggiose per motivi diversi, sono legate da un passato che viene raccontato tramite parole e flashback (forse la parte meno riuscita del film) e si ritrovano in un presente carico di gravitas e dignità, e nell’affrontarlo entrambe hanno qualcosa da insegnarci.
Morire si fa opera d’arte e va vissuto come una vacanza fuori dal familiare – perché meglio non aggrapparsi a cose che ci legano alla vita – nella villa modernista Casa Szoke (Aranguren & Gallegos architects) che diventa altra eroina silenziosa del film, custode di fragilità e di porte aperte o chiuse. Il cinema di Almodóvar si fa strada lavorando per immagini e la comunicazione passa attraverso una porta/bocca.
Il film tocca molti temi importanti, tra cui l’Amicizia tra donne, ancora troppo rara sullo schermo, il rispetto e l’accettazione.
Ma La Stanza Accanto è anche un film politico, ritratto di una donna agonizzante in un pianeta che è esso stesso agonizzante, e che decide come uscire di scena (dove farlo, cosa indossare, chi scegliere come testimone per questo passaggio) in un’era in cui ancora il cambiamento climatico viene negato, e il suicidio assistito e l’eutanasia sono illegali in molti paesi.
C’è una domanda che durante il film mi ponevo spesso: siamo capaci di essere quelli della stanza accanto?
Da spettatori, il film è una sorta di viaggio dentro se stessi e le proprie paure, e per quanto mi riguarda una volta capito cosa mi veniva chiesto, avrei voluto essere altrove. Ma come in tutti i viaggi in cui ci si abbandona al fluire e si abbattono resistenze, l’arrivo è poi gratificante e liberatorio, forse anche gioioso. Nel viaggio si cambia. Quello di Almodóvar è anche un invito a non girarci dall’altro lato, ma a vivere come fossimo tutti nella stanza accanto, come Ingrid testimoni attenti nei confronti degli altri, o in relazione a ciò che accade nel mondo o verso il cambiamento climatico, che è sotto i nostri occhi ma non vogliamo vedere. È un film che forse ci responsabilizza.
Ingrid crea i suoi titoli di coda in giacca gialla e rossetto rosso. C’è fede nell’inevitabile evoluzione ovunque ci porti, e quindi c’è speranza.
Almodóvar con un’opera apparentemente minore e imperfetta (il tutto è più della somma delle singole parti, e poi a chi interessa la perfezione?) ma dal respiro universale, si conferma uno dei registi da salvaguardare di più al mondo, ed il fatto che abbia già annunciato il suo prossimo film è motivo di gioia: Amarga Navidad. Una commedia drammatica che sa tanto di Parenti Serpenti.
Me encanta!

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