Xavier Dolan, regista canadese che nel marzo di quest’anno ha compiuto trent’anni, è a Cannes per la quinta volta. Ha iniziato poco più che adolescente con Ho ucciso mia madre nel 2009 e poi è cresciuto tra Les Amours imaginaires, Laurence Anyways, con il quale ha vinto la Queer Palm e il premio come Miglior attrice Un Certain Regard per l’interpretazione di Suzanne Clément, Mommy, premio della giuria ex aequo con Addio al Linguaggio di Jean – Luc Godard ed È solo la fine del mondo, Grand Prix Speciale della Giuria nel 2014. Oggi presenta al piccolo mondo dorato di Cannes e poi al mondo intero la sua ottava meraviglia (qui ne siamo certi), Matthias & Maxime, che segue La mia vita con John F. Donovan, film che la Lucky Red avrebbe dovuto distribuire in Italia il 7 marzo (qualche giorno prima del suo compleanno) e che ha scelto di soppiantare con I Villeggianti di Valeria Bruni Tedeschi, rimandando Dolan a data da destinarsi.
Nel 2009 Dolan inizia un percorso cinematografico ed esistenziale scrivendo e dirigendo Ho ucciso mia madre, che fin dal titolo si dichiara opera prima, ma già spartiacque. Una rottura con l’adolescenza e con la figura materna (interpretata da Anne Dorval, che ritroviamo in quasi tutte le sue pellicole nello stesso, decisivo, ruolo), una uccisione simbolica compiuta nella fase della coscienza incompleta e una sua successiva reincarnazione nei personaggi che Dolan scrive e qualche volta anima con il suo volto. Hubert, interpretato proprio da lui, racconta alla sua insegnante Julie (Suzanne Clément) di essere orfano di madre come l’Antoine Doinel de I quattrocento colpi in chiave adolescenziale e così uccide il simbolo, crea il distacco, riemerge dal liquido amniotico nel quale stava annaspando e respira di nuovo. Ma crescendo attraverso i suoi film, che sono muscoli, arti inferiori e superiori oltre che visive, grida disperatamente aiuto, la madre uccisa deve essere riportata in vita, dove ti ho mandata – sembra chiedersi – cosa sono io senza di te?
Dal corpo vivo ed esuberante di Laurence (Laurence Anyways), Dolan dà avvio ad una ricostruzione, ricompone un corpo femminile a partire da uno maschile (è un uomo ad averla uccisa nel primo film ed è un uomo a doverle la propria fisicità). Restituisce alla madre ciò che le ha sottratto in quell’uccisione irreale (e ideale) con Laurence, che si sente una donna nei panni di un uomo, ma che ama una donna, come Dolan ama la madre. La ama e la detesta. La detesta perché la ama.
Dolan prova a instaurare un dialogo con tutte le madri del mondo (Tom à la ferme) solo per “restituire a se stesso la sua”. Dopo il suicidio del compagno, Tom si reca dalla famiglia di quest’ultimo – à la ferme – per mostrarle il figlio oltre il corpo, e capire qualcosa in più di se stesso, attraverso il corpo; e da quel corpo morto Dolan traccia il sentiero che passa per tutte le sue pellicole successive, un filo fatto di carne e volontà, la rappresentazione di un corpo in attesa. Aspetta la madre, dopo tutte le madri del mondo, aspetta la sua e la ritrova in Mommy, nei nomi dell’infanzia, nella tenerezza mascherata da violenza. È lei a venirgli incontro questa volta, ancora con il volto di Anne Dorval (Diane), sottraendo il figlio Steve alle cure di un istituto per ragazzi problematici e scegliendo di riportarlo a casa. Il grido di Dolan è stato accolto, la madre sta tornando in vita e in Mommy il tentativo precedente di ricomporre un dialogo diventa qualcosa di tangibile, si fa presenza, anche grazie a Kyla (Suzanne Clément sempre nel ruolo, delicato, dell’interprete), una insegnante balbuziente esperta nel ricomporre le parole oltre i cocci.
E così arriviamo all’ultimo film, È solo la fine del mondo, in cui la madre torna quando lui sta per andarsene, una partenza non voluta e imposta, ma i due riescono a salutarsi, senza dirsi niente. La madre qui si fa portavoce unico del dolore più grande – portavoce senza voce – davanti a Louis/Dolan, che torna a casa dopo 12 anni per annunciare la sua morte, senza riuscire a parlarne mai.
Il dialogo sembra frammentato, oscilla tra conversazioni spezzate e parole non dette, ma in realtà non occorre parlare di quello. Proprio il dialogo tra madre e figlio, sopra il quale aleggia la morte mai nominata, diventa l’unico baluardo della nostra traccia sulla terra e delle nostre responsabilità. Non c’è bisogno di giocare nessuna partita a scacchi, tutto è già segnato. La madre non è più interpretata da Anne Dorval, ma da Nathalie Baye, e così Dolan chiude davvero un cerchio, quello che siamo stati e quello che diventiamo non è solo – puro – riconoscimento. Racconta le colpe che attribuiamo a chi ci ha dato la vita per non assumerci la responsabilità della vita stessa e le colpe delle madri, soprattutto, rivestono un ruolo simbolico nella creazione di una identità.
Ho stilato una classifica, estremamente personale, dei suoi cinque film più belli (in realtà, ne sono stati distribuiti sei, ho lasciato fuori solo Les amours imaginares per continuità tematica, per ricalcare quella linea sottile fatta di corpo e volontà).
Lascio parlare Dolan e la colonna sonora che sceglie ogni volta come ambiente familiare, antico e moderno, ironico, pop, tradizionale e sovversivo.
1. Lawrence Anyways
“È una rivolta?”
LAWRENCE
“No, è una rivoluzione”.
Colonna sonora
A New Error – Moderat
2. Ho Ucciso Mia Madre
HUBERT
“Cosa faresti se morissi oggi?”
CHANTAL
“Morirei domani”
Colonna sonora
Maman la plus belle du monde – Luis Mariano
3. Mommy
STEVE
“Noi ci amiamo ancora?”
DIANE
“Certo, è la cosa che ci riesce meglio”
Colonna sonora
On ne change pas – Céline Dion.
4. È solo la fine del mondo
MADRE
“Abbiamo paura del tempo, del tempo che ci dai. E poi io non mi illudo, so che non resterai a lungo. Va benissimo così. Ma sei qui. Allora perdonali […]. Non hai mai voluto responsabilità, non ti chiedo niente.
LOUIS
“Non sono il fratello maggiore, non devo sostituire nostro padre”
MADRE
“Non dire stronzate. Non fare il finto tonto. Non è una questione di età, usa la testa. Non è l’età che ti rende l’uomo di casa, io lo ero a casa mia quando ero piccola. Lo status, il salario, la fortuna, la bellezza, i doni, il coraggio. Le belle cose che si hanno, le cose con cui si nasce […]. Non tornerai, lo so. Incoraggiali, Louis. Autorizzali a fare quello che vogliono. Dì a Suzanne, anche se non è vero, anche se è una promessa fatta così, dille: “Suzanne, perché non vieni qualche volta a trovarmi?”. Dille che può, che ne ha il diritto […]. Oggi non siamo obbligati a piangere o a fare grandi dichiarazioni. La giornata può anche finire come è cominciata, senza obblighi, senza importanza. E bene, visto che ci siamo, semplicemente bene”.
Colonna sonora
Natural Blues – Moby
5. Tom à la ferme
TOM
“Oggi una parte di me è morta e io non posso piangere. Questo perché ho dimenticato tutti i sintomi della sofferenza.”
Colonna sonora
Diferente – Gotan Project
Qui una playlist di tutte le canzoni citate e molte di più.