Ieri ci ha lasciati Agnes Varda (30.05.1928- 29.03.2019), fotografa e cineasta, pioniera del cinema francese dagli anni della Nouvelle Vague, icona dell’anticonformismo e madrina, di nuovo a novant’anni, di una sensibilità solidale per cui l’arte sfocia nell’impegno civile, che oggi avvertiamo come tendenza giovane e contemporanea, ma che in realtà ha radici lontane e ritorni ciclici, fin dall’antica Grecia. Di lei ci restano opere per oltre sessant’anni di carriera e un capolavoro, il suo penultimo film documentario, Visages Villages, cofirmato col giovane Jr, l’artista parigino, noto per i ritratti fotografici giganti incollati sulle facciate degli edifici.
“Sono un essere umano, non ritengo a me estraneo nulla di umano” è il verso perduto di un’opera del greco Menandro (342-291 a.C.), poi tradotto e rieditato in latino da Terenzio (185-159 a.C); questo verso ci parla di solidarietà ed empatia tra gli esseri umani, chiunque essi siano. Chiunque. Un sentire e un valore del mondo classico e precristiano.
Questo preciso sentimento è quello che ci trasmettono anche Agnes Varda e Jr, durante un viaggio-progetto-film durato 18 mesi dal nord al sud della Francia, realizzato girovagando senza itinerario (“il caso è sempre stato il mio miglior assistente” dice la Varda) tra un villaggio e l’altro, alla ricerca di persone con cui mettersi in relazione, attraverso racconti e fotografie.
Agnes ha 89 anni, i capelli a caschetto bianchi per metà e per metà rossi, ci vede poco e ormai fa male le scale; Jr di anni ne ha 33, cappello nero e occhiali da sole, è lo Street artist francese più famoso al mondo: sono due artisti che appartengono a molte generazioni di distanza l’uno dall’altra, ma entrambi conoscono il lavoro dell’altro. Si conoscono grazie alla figlia di lei, la produttrice del film Rosalie Varda, che mette in contatto tramite un amico comune. Lui va a casa di lei, poi lei nello studio di lui; lui conosce il suo gatto, mangia dalla sua ceramica cinese e le fa “la proposta”, lei conosce il suo staff e subito inizia a recriminargli che non si toglie mai quegli occhiali neri che tanto le rammentano l’amico Godard. Il progetto di fare qualcosa insieme parte subito. È scontato che non hanno tempo da perdere (“Realizzeremo più immagini possibili prima che sia troppo tardi”, le dice Jr), ma soprattutto è ineluttabile, ora che si conoscono, che lavorino assieme.
Entrambi concepiscono l’arte come un impegno civile verso l’umanità. Entrambi sono curiosi dell’altro e sanno che dall’altro possono imparare. E il segreto per imparare è amare.
Alcune analogie autorizzano un confronto con Harold e Maude (Hal Ashby, 1971), ormai iconico film d’amore (amore in questo caso anche fisico) tra un diciottenne con tendenze suicide e una prossima ottuagenaria eccentrica ed energica, dall’avventuroso passato. Agnes somiglia davvero a quel personaggio, anche se lei ha la patente ma non guida perché “è giudiziosa” mentre Maude guidava senza patente perché lei, senza remore, dichiarava: “non credo nelle patenti”. Certo, in Harold e Maude a far capolino dalla grecità è Eros (insieme ad Edipo), mentre in Visages Villages c’è Philìa, il sentimento di benevolenza che per i Greci si stabilisce con chi si sente simile, in un rapporto di complice amicizia e di comunità di intenti.
Certo, poi, il back ground e il registro dei due film sono molto lontani, ma c’è un tema che serpeggia in entrambi: la differenza d’età tra i due protagonisti costringe ad affrontare il tema della morte, spesso richiamata in entrambi, parimenti senza tabù. Ma mentre Maude muore durante il film, offrendo ad Harold la possibilità di trovare nuove risposte alle sue domande esistenziali, Agnes potrà girare e montare e portare agli Oscar questo film con Jr (e anche un altro autobiografico da sola) prima di quel momento a cui dice di pensare spesso e di non vedere l’ora di esserci.
Di cinema se ne richiama tanto in questo poetico documentario, volenti o nolenti, ma soprattutto quel che si rievoca è la filmografia della Varda stessa e dell’amico Godard: la Nouvelle Vague. Non c’è nostalgia per quell’âge d’or, e nemmeno mero riferimento estetico, c’è invece una riconferma di adesione a quei valori che l’hanno ispirato.
E, ancora una volta, un grande amore. Tra le scene più belle del film una citazione, che perpetra una delle più stupefacenti della storia del cinema: la corsa lungo la Galleria del Louvre di Bande à part (J.L. Godard, 1964); la Varda è in sedia a rotelle e a correre spingendola è solo l’agilissimo Jr, mentre la compagna d’avventura lancia sguardi compiaciuti ai quadri a destra e sinistra della galleria, sospirando i nomi dei pittori del Rinascimento italiano (“Crivelli”, “Ghirlandaio”, “Botticelli”, “Raffaello” …). Un grande omaggio al cinema, un grande omaggio all’arte.
Ma soprattutto il film è un grande ritratto di persone, sole o in gruppo, che appartengono e sono inscindibili dai luoghi in cui vivono. Jr e Agnes vogliono ritrarre i loro volti per dare voce a chi voce non ce l’ha: ai minatori del passato, ai contadini del presente, agli operai di una stessa fabbrica che non si conoscono, perché lavorano a turni sfalsati, alle mogli degli scaricatori di porto e con loro a tutte le donne che ancora si esprimono dicendo di stare “dietro” al proprio marito, piuttosto che “al suo fianco”, come corregge Agnes. Quell’umanità che somiglia tanto alle capre degli allevamenti moderni: con le corna bruciate per neutralizzare ogni istinto aggressivo che possa ridurre la produttività della bestia.
Girano in lungo e in largo col camioncino di Jr alla ricerca di storie e volti da svelare. Agnes, in realtà, ha accanto a sé anche un altro compagno di viaggio che in qualche modo li guida: il demone del proprio passato, la sua memoria visiva e affettiva. Spesso la destinazione, infatti, viene dettata da vecchie fotografie da lei scattate in certi luoghi o che conserva e che sono inerenti a quei luoghi; per omaggiarla, Jr trova il modo di replicarle alla scala architettonica, sull’edificio più adatto scelto assieme. L’occhio artistico di Jr è davvero notevole e impeccabile, alla Varda, invece, capita di cadere in qualche défaillance, cosa che nel film non viene tagliata, ma raccontata con occhio bonario e rispettoso.
I due protagonisti si scoprono reciprocamente nel tempo di questi 18 mesi: quanto serve ad un neonato per imparare a camminare e iniziare a dire le prime parole è il tempo che ai due artisti serve per costruirsi un rapporto unico e speciale, ben al di là del sodalizio artistico. All’inizio Jr è un po’ Godard per Agnes, l’ennesima sfida di togliergli gli occhiali da sole, e Agnes è un po’ solo un’anziana signora per Jr, un tipo di persona con cui è abituato a relazionarsi, essendo cresciuto con entrambe le nonne in casa. La loro relazione all’inizio è mediata. Ma alla fine, … viaggio dopo viaggio, la Philìa tra i due lascia il passo all’amore puro per eccellenza, l’Agape greco e poi cristiano, quel tipo di sentimento che trasforma il rispetto in cura, la benevolenza in affetto profondo e disinteressato; quel tipo di sentimento che farà togliere gli occhiali a Jr, per Agnes, solo per lei.
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