Omaggio al cinema di Claudio Caligari il regista di Amore Tossico e Non Essere Cattivo che ci ha lasciato due anni fa.
Quando due anni fa è uscito, postumo, nelle sale “Non essere cattivo” molti ne hanno parlato come dell’ultimo capitolo di una trilogia ricollegandolo ai due precedenti film di Claudio Caligari, ma in realtà questo film chiudeva un’ideale trilogia cominciata nel 1962 con “Accattone” di Pier Paolo Pasolini e proseguita nel 1983 con “Amore Tossico” dello stesso Caligari. Non a caso i due protagonisti si chiamano Cesare, come il protagonista di Amore Tossico, e Vittorio, vero nome di Accattone. I tre film raccontano l’evoluzione nel corso degli anni dei ragazzi di borgata e tante citazioni utilizzate da Caligari fungono da anelli di congiunzione. Amore tossico si chiude con la dose fatale a Michela sotto al monumento a Pasolini ad Ostia e “Non essere cattivo” si apre con la stessa scena del gelato che in “Amore tossico” vede protagonisti, nello stesso luogo e con le stesse inquadrature, Enzetto e Ciopper.
Claudio Caligari ci ha lasciati il 26 maggio del 2015 ma grazie alla determinazione del suo grande amico Valerio Mastandrea, negli ultimi mesi di vita ha potuto coronare il sogno di realizzare il terzo film della sua incredibile carriera.
Nato ad Arona, in Piemonte, Claudio era stato molto vicino al movimento del ’77 che aveva narrato nei suoi primi lavori documentari: “La parte bassa” racconta la Milano di quegli anni e la vita all’interno dei Circoli del Proletariato Giovanile, dove comincia ad interessarsi anche al fenomeno della diffusione dell’eroina. La droga, che sembra essere lo strumento attraverso cui viene messa a tacere quella generazione, diventerà presto l’elemento centrale del suo cinema. Insieme al sociologo Guido Blumir si avvicinerà ai ragazzi di Ostia e comincerà a lavorare alla sceneggiatura di “Amore tossico”. Cesare, Michela, Enzetto, Ciopper, Loredana e gli altri non racconteranno sul set la loro vita ma qualcosa che comunque gli appartiene. L’intento di Claudio è quello di raccontare questo inferno attraverso toni che lui stesso definisce “trucicomici”, che riesce ad ottenere lasciando ai ragazzi la massima spontaneità nei comportamenti e nel linguaggio. E anche sul set non mancano gli episodi “trucicomici”, come la resistenza opposta dai ragazzi quando per simulare la scena dell’iniezione della “brown sugar” nelle siringhe viene messo un’epato-protettore, un disintossicante di colore marrone. Il film viene presentato a Venezia in una sezione collaterale perchè ritenuto molto sconveniente per il concorso ufficiale. Vince il Premio De Sica ed è protagonista di un’infuocata conferenza stampa durante la quale Marco Ferreri, strenuo sostenitore del film, si scaglia contro Tatti Sanguineti, che invece ne contesta alcuni difetti essenzialmente tecnici. Nonostante il grande successo ottenuto il film resterà un anno senza distribuzione. Il giorno della sua uscita in sala viene caratterizzato dall’arresto della protagonista Michela Mioni che nel frattempo aveva vinto il premio come migliore interprete del Festival di San Sebastian.
Gli anni successivi furono contraddistinti da molti progetti che Caligari vide sfumare per poco. Fu vicino a realizzare un film con Marcello Mastroianni e Hanna Shygulla ed uno con Harvey Keitel. Molte altre sue sceneggiature (“La ballata degli angeli assassini”, “Dio non c’è alla Sanità”, “La grande illusione del numero due”) non trovarono produttori pronti ad investire su di essi.
E’ a questo punto che ci si pone la domanda più ovvia: “Perchè Caligari ha realizzato solo 3 film in quasi 35 anni?”.
Per molti è prevalsa la tesi dello “sconfitto” o dell’outsider che voleva assolutamente stare fuori dal sistema, ma è stato lo stesso Caligari a spiegare ripetutamente che il suo cinema non aveva mai avuto la pretesa di essere di nicchia, ma ambiva ad essere assolutamente “commerciale” raccontando temi che interessavano un pubblico vasto. Leggendo i suoi progetti rimasti irrealizzati si capisce come il suo cinema fosse anticipatorio di grandi filoni del cinema contemporaneo: “Suicide special”, storia di balordi, prostitute e travestiti, fu da lui stesso definito pre-tarantiniano. La verità probabilmente sta soprattutto nel fatto che Caligari aveva scelto di vivere una vita nel segno della coerenza (anche artistica) e non aveva accettato mai compromessi, utilizzando un linguaggio non omologato che aveva il sapore della contro-informazione.
E’ così che si arriva fino al 1998 prima di vedere di nuovo un suo film in sala. “L’odore della notte” è una crime-story che rifiuta ogni parentela con i polizieschi italiani degli anni 70 (su questo fu molto critico nei confronti di Tarantino che li aveva riabilitati), ma va invece nella direzione dei polar francesi. Il film tratto dal romanzo “Le notti dell’Arancia meccanica” ed ispirato a fatti realmente accaduti ha il merito di scoprire il talento, anche drammatico, di tre grandi attori romani, Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Giorgio Tirabassi . A completare il cast c’è un attore non professionista, Emanuel Bevilacqua, figlio di uno dei componenti della banda dei napoletani in “Accattone”. All’interno del film, che cerca di stemperare i toni anche con momenti ironici e leggeri, rimane memorabile un cameo di Little Tony che canta “Cuore matto” sotto la minaccia di una pistola.
L’incontro con Valerio e con Emanuel sarà un momento molto importante nella vita di Claudio, per la grande amicizia che lo legherà a loro e per i tanti progetti che nasceranno dalla loro collaborazione. Emanuel diventerà una sua costante fonte di ispirazione con i suoi racconti di strada. Con Valerio invece Claudio tenta il colpaccio, provando ad acquistare i diritti del libro di Giancarlo De Cataldo “Romanzo Criminale”. L’acquisizione non va a buon fine e Claudio si concentra su un grande progetto per il quale prende contatti anche con Cattleya. “Anni rapaci”, è un lavoro in cui crede tantissimo ed è il racconto dell’avvento della ‘ndrangheta al Nord. Purtroppo nè questo nè i successivi progetti troveranno la via del set. Dopo la sua morte però Valerio Mastandrea ha espresso il desiderio di riprendere alcuni di questi progetti, in particolare “Andare ai resti” dal romanzo di Emilio Tondelli, per farne un film.
La favola amara di Claudio Caligari ha comunque una svolta nell’ottobre del 2014 quando proprio l’amico Mastandrea decide di scrivere una lettera a Martin Scorsese, suo mito cinematografico. Quel “Caro Martino” arriva nelle mani del regista americano, ma soprattutto trova la pubblicazione su “Il messaggero” e comincia a diventare un tormentone negli ambienti cinematografici italiani. Valerio, con la sua straordinaria sensibilità, non fa mai leva sulla malattia, ma chiede a Martino e al mondo intero di aiutare il suo amico a coronare il sogno di terminare quel film. Qualcosa si muove e proprio mentre Claudio è in ospedale e le sue condizioni sembrano aggravarsi arriva la telefonata di Rai Cinema.
Tutto il resto è storia recente, Claudio raccoglie le sue ultime energie ed un meraviglioso cast e realizza il suo capolavoro. Venezia ancora una volta si mostra riconoscente a metà. Il film avrebbe meritato di rappresentare l’Italia nel concorso ufficiale, ma si opta per una proiezione “Fuori concorso”. In sala c’è anche l’anziana mamma di Claudio e sul volto di tanti appaiono i segni della commozione.