Fuori dal coro: il mio amico Ken vs Clint Eastwood

Partiamo da una premessa, quella che segue non è una recensione di Richard Jewell, nè un’analisi dettagliata della cinematografia eastwoodiana. Le righe che leggerete sono il racconto di un’emozione, di un sentimento (in fondo il cinema è anche, a volte soprattutto, questo). Il vs del titolo non leggetelo come un’invettiva, quando parlo di cinema non amo i toni polemici, chi la pensa diversamente su Clint (ed è certamente maggioranza) credo che possa avere ragione esattamente quanto me, dal suo punto di vista. In assoluto no. 

 

Da qui in avanti ecco il fluire disordinato ma sincero delle emozioni che provo davanti alle opere di questo autore.

È da anni, tanti ormai, che l’uscita in sala di un film del vecchio Clint corrisponde per me ad un momento di grande (ma, per fortuna, non totale) solitudine. Tutti (o quasi) si affannano a celebrare l’ennesimo capolavoro dell’uomo dagli occhi di ghiaccio ed io mi vedo messo in un angolo ad interrogarmi su cosa mai c’abbiano visto di tanto speciale. L’anno scorso in occasione dell’uscita di The mule – Il corriere qualcuno mi ha persino consigliato di cambiare genere d’intrattenimento per aver osato definire retorico il suo cinema, ma io, testardo, ho perseverato e dopo aver annunciato che questa volta Clint non mi avrebbe avuto tra i suoi spettatori sono pure cascato nella peggiore delle tentazioni: vedere Richard Jewell per capire se almeno stavolta potevo recitare il mea culpa e darla vinta al partito degli “anche stavolta è un capolavoro.
Ora, prima di continuare questa mia personale riflessione, vi confesso un dettaglio certamente non trascurabile: a me vedere i film di Clint tutto sommato piace o quanto meno non dà noia. Quelli brutti davvero faccio presto a citarli: Hereafter e Invictus (con l’aggravante del monolitico Matt Damon), J. Edgar, e, peggiore tra i peggiori, Ore 15.17: attacco al treno. Gli altri, bene o male, li ho sempre visti come buone occasioni di intrattenimento. Mystic River addirittura l’ho amato, ma questo forse è davvero fin troppo facile a dirsi.

Il problema quindi non sta tanto nel cosa racconta, ma nel come lo fa. Non parlo del linguaggio cinematografico, lui da questo punto di vista è un essenziale (o se mi è consentito essere un po’ meno generoso: è un uomo di poche pretese, cosa che a 90 anni ci può anche stare). Le sceneggiature abbondano di semplificazioni e di luoghi comuni. Anche dire che una donna è disposta a tutto pur di fare carriera è un luogo comune oltre che un bell’esercizio di cultura machista, ma nello specifico di Richard Jewell, essendo totalmente ignorante sulla vicenda, preferisco non cavalcare la polemica divampata negli Stati Uniti riguardo alla figura (realmente esistita) della giornalista interpretata (male, soprattutto a causa della pessima scrittura del suo personaggio) da Olivia Wilde, che avrebbe avuto le informazioni che furono alla base del suo scoop da un agente federale in cambio di favori sessuali. Molto invece ci poi da dire sui dialoghi che sembrano far parte di uno schema che vuole condurci ad una verità già definita in partenza (che si chiami proprio retorica questa pratica?).

Richard Jewell Clint Eastwood

Ricapitolando: il cinema di Eastwood mi sembra che possa fare (buona?) compagnia in una bella serata casalinga sul divano e sotto il plaid. Anche se questo suo procedere per tesi almeno a me un po’ di fastidio sottilmente lo provoca. Fastidio che diventa addirittura irritazione quando andiamo ad analizzare i suoi personaggi. Ora mi fermo un attimo e vi dico quale (terribile) tentazione sto avendo da quando ho ultimato la visione di Richard Jewell: RIVEDERLO! Masochismo? No! In realtà avrei voglia di contare quante volte viene pronunciata la parola EROE durante il film. Il numero ora purtroppo non saprei dirvelo, ma vi assicuro che quella parola, che io sinceramente detesto per l’uso improprio ed indiscriminato che comunemente se ne fa, viene pronunciata un numero disgustoso di volte. Ecco, scavando dentro di me lentamente, come sul lettino dello psicanalista, è finalmente emersa la parola chiave del mio dissidio nei confronti di Eastwood. Basta, per favore basta, con questa esaltazione tutta americana dell’eroe.

Richard Jewell Clint Eastwood

Prendete Richard Jewell, ma di che eroe stiamo parlando? Richard è un uomo mentalmente disturbato, osessionato dall’ansia di farsi eroe (come purtroppo tantisimi altri suoi connazionali). Richard “salva” la vita di molte persone, ma a me le persone come lui non piacciono, addirittura mi fanno paura, non c’è un solo momento in cui, durante il film, io riesca ad empatizzare con lui. Non solo non provo pena per l’ingiustizia che gli si abbatte addosso, ma addirittura la comprendo, non riesco a prendermela col sistema inquisitorio che dubita del suo “eroe”perchè penso che quel dubbio sia lecito e necessario.

E allora Clint, non prendertela a male, forse è un problema tutto mio, ma da sempre ho un rapporto un po’ controverso con la tua America e con le vostre idolatrie. Me la prendo con te perchè, ogni volta, mi sbatti in faccia proprio il lato più inquietante del tuo paese e, quel che è peggio, lo fai compiacendotene. Il cinema per me è anche adesione ad una stessa visione del mondo, le nostre evidentemente sono troppo differenti per provare a volerci bene sul serio.

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