Un film fuori dagli schemi (letteralmente) che partendo dal tema del divario di classe si evolve inaspettatamente in un racconto grottesco sviluppato in spazi e ambienti straordinari dove architettura e scenografia trovano un ottimo punto di incontro.
Cercare di categorizzare un’opera d’arte, sia essa una scultura, un dipinto, un libro… è un atto utile e comodo sia per gli studiosi che per i fruitori finali, ma è anche una gabbia che non sempre si adatta alla creatività e all’evoluzione stessa dell’arte. Per questo le opere che segnano un cambiamento nel mondo della creatività spesso sono difficilmente ascrivibili a un genere o stile preciso; banalmente il cambiamento e l’evoluzione tendono a, anzi devono, uscire dalle categorie consolidate.
Non sappiamo se Parasite diverrà pietra miliare della storia del cinema (anche se alcuni attributi per ottenere questo titolo li ha), ma sicuramente ci offre la bellezza di un film completamente fuori dagli schemi, destabilizzante, straniante ed è bello poterlo lasciare libero di sperimentare senza doverlo chiudere per forza nella definizione di grottesco (che è forse il genere a cui più si avvicina).
La storia inizia con il tema base del divario sociale descritto mediante due famiglie: i Kim: madre, padre e due figli, poveri, costretti a vivere in un seminterrato di un quartiere degradato, intenti a piccoli lavoretti temporanei come piegare scatole di cartone per le pizze a domicilio; hanno però quell’energia di chiunque cerchi un riscatto: i due figli vorrebbero studiare e trovare un luogo dignitoso nella società. I Park, moglie, marito e un figlio piccolo sono invece benestanti, con personale a servizio, vivono in una villa progettata dal grande architetto Namgoong, ex proprietario, architettura enorme, luminosa, dallo stile estremamente elegante e minimale. “Sono ricchi ma anche gentili, sono gentili perché sono ricchi” ci dicono i Kim, ma sono anche piuttosto ingenui.
Grazie a questa loro ingenuità tutti i quattro membri della famiglia Kim riescono a diventare dipendenti dei Park con piccoli sotterfugi volti a far licenziare il precedente autista e la leale governante. Fin qui il film si muove nell’ambiente della commedia di critica sociale, ma nella sua evoluzione (di cui non diremo oltre per coloro ancora non lo avessero visto) prenderà strade sorprendenti in un ritmo perfetto come “una fine pioggerella che cresce pian piano per diventare un tifone” utilizzando le parole del regista Bong Joon-ho.
Alla fine si esce dalla sala disorientati, dopo aver provato una lunga serie di emozioni differenti, e per ritrovare la bussola occorre incominciare a riflettere, sulla società, sui rapporti sociali, sul destino… e in questo periodo coloro che ci portano a riflettere andrebbero solo ringraziati con rispetto.
Uno degli elementi caratterizzanti e distintivi del film è la scenografia: infatti sia la casa dei Kim che la bellissima casa dei Parks sono in realtà scenografie costruite per il film e non luoghi realmente esistenti.
Il seminterrato della famiglia Kim e tutto il quartiere sono stati realizzati ispirandosi ai quartieri poveri spesso in fase di demolizione che lo scenografo (anzi il product designer, figura professionale leggermente più ampia dello scenografo) Lee Ha Jun ha visitato e riprodotto nei minimi particolari. Per dare più realismo ha creato non solo il quartiere ma anche i personaggi vicini di casa dei Kim: ogni oggetto, accessorio, rifiuto presente nella strada è motivato da un personaggio di cui è stata creata una storia (anche se poi non compare nel film): per esempio un passeggino pieno di vecchia carta presente nella via è di proprietà di un’anziana signora che raccoglie rifiuti e carta da riciclare e si fa aiutare in questo dai suoi figli. Così ogni particolare, ogni elemento della via del quartiere popolare è ben definito da un personaggio ad esso legato: praticamente si è utilizzata la tecnica di studio del personaggio per gli oggetti della scenografia.
Il seminterrato dei Kim è una metafora del loro atteggiamento verso il mondo, come racconta Bong “riflette realmente la psiche della famiglia Kim: sei ancora per metà fuori dal terreno, così c’è questa speranza, e questo senso che puoi ancora avere accesso alla luce del sole e non sei ancora completamente caduto sul fondo (cantina). Questa strana mescolanza tra la speranza e la paura che puoi cadere ancora più in basso. Penso che questo realmente corrisponda ai sentimenti dei protagonisti.” Il vivere in bilico tra la possibilità di riscatto e la caduta definitiva.
La casa dei Parks invece è un esempio di architettura dell’alta borghesia, di lusso, elegante, uno strumento con cui i proprietari possono dichiarare, sfoggiare il loro buon gusto e la loro cultura artistica (alcune opere presenti in scena sono dell’artista Seung Mo Park): i mobili sono eleganti, minimali (realizzati su misura per il set) e sono fondamentali per il successivo gioco di nascondigli e inganni che guideranno la trama del film. Le scale (numerose visto che l’abitazione è distribuita su tre livelli) diventano loro stesse luoghi dell’azione.
Molti spettatori delle prime hanno chiesto dove fosse l’abitazione luogo delle riprese e chi fosse il progettista e grande è stata la sorpresa nello scoprire che l’abitazione non esiste, come non esiste il grande architetto Namgoong, personaggio del film: infatti l’abitazione è frutto dello scenografo Lee Ha Jun che ha realizzato un progetto architettonico di alta qualità ma che si potesse anche adattare alle esigenze di ripresa del set.
L’accurata progettazione del set ha anche influito sulla tecnica cinematografica, infatti le grandi dimensioni dell’abitazione insieme con la disposizione degli spazi, hanno permesso di effettuare pochi tagli posizionando le cineprese in luoghi tali da inquadrare scene ampie con tutti i personaggi per lunghi intervalli di tempo. Casa Park è stata realizzata in parte su un lotto libero per il piano terra con il giardino, e in parte in studio.
Così il claustrofobico seminterrato dei Kim, dove è invece difficile inquadrare insieme tutti i personaggi che sembrano quasi non entrarci, si contrappone ai vasti spazi di casa Parks dove diverse azioni di diversi personaggi avvengono nella medesima inquadratura senza che questi si scorgano reciprocamente. E ancora le finestre dei Kim piccole, raso terra che si affacciano su disinfestatori e ubriachi che orinano, si confrontano con l’ampia parete vetrata che trasforma l’elegante soggiorno dei Parks in un unico ambiente interno-esterno dove l’esterno è anch’esso un ambiente protetto elegante e sicuro. L’alternanza contrastante tra i due ambienti contribuisce a mantenere il ritmo dinamico e preciso di tutto il racconto.
Il film è un prodotto raffinato, che si appoggia a studi, pensieri, lavori di qualità e raffinatezza: è originale, probabilmente rivoluzionario, vedremo se il cinema saprà accoglierlo e renderlo guida per le prossime opere.
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