Una chiacchierata con Davide Calvaresi, il Geppetto marchigiano che porta i Monti Sibillini tra i big del cinema italiano: Garrone, Bellocchio, Rohrwacher… e alla fine arriva Olmo.
Che cosa è un film di animazione, da dove nasce, chi si cela dietro a quelle storie fantasiose, quale testa matta / burattinaio muove i fili e “chi” sono gli strumenti che permettono la magia?
Queste alcune riflessioni alla base della chiacchierata con Davide Calvaresi, il regista-artigiano di Olmo, un film di legno, il corto tra i cinque finalisti che concorreranno al miglior corto nella 59ma edizione del Premio Globo d’oro, mercoledì 19 giugno. Noi il film di legno l’abbiamo visto e ce ne siamo un po’ innamorati.
Ecco quello che ci siamo detti durante l’intervista, tutto sul dove come e perché è nato Olmo, un pezzetto di legno che sbatte la testa, che fa sorridere e intenerisce. Difficile non immedesimarsi in lui, incastrati come spesso siamo nelle nostre paure e irrequietezze ma capaci, se risvegliati e se ci apriamo agli altri, di grandi gesti di coraggio.
[Curiosità. Quando abbiamo chiamato Davide, ci ha risposto Olmo che ha chiesto di poter partecipare all’intervista telefonica. Era molto contento]
Davide, ciao e grazie per questa telefonata. Di te si sa che che sei nato ad Offida sotto il segno dei pesci, che crei mondi immaginari leggeri e profondi, che fai laboratori con bambini, che dirigi la compagnia 7-8 chili e che ami Nanni Moretti. Vuoi aggiungere qualcosa?
Che ogni tanto mi piace starmene a casa nel buio completo, un po’ per riposare gli occhi e un po’ per attivare altre percezioni.
Allora cominciamo, intanto complimenti per il tuo corto. Puoi dirci come è nata l’idea? E come mai la scelta del legno?
Grazie! L’idea di fare qualcosa sul modo di dire “sbattere la testa” ce l’ho da tantissimo tempo, da almeno 15 anni. Era un po’ che volevo mettermi a scrivere una storia per un corto. Una sera, dopo un laboratorio con i bambini in cui costruivamo un pinocchio di legno, mi sono seduto alla scrivania, ero ispirato. Ho iniziato a pensare alle espressioni legate alla testa: sbattere la testa, senza testa, testa e croce, testa vuota. Così in due ore sono nati Olmo e Pina, e tutto il bosco di personaggi che compaiono nel corto, amico, zio fusto, testa fina, Mr Tarlo etc.
Il legno è un materiale bellissimo, vivo, caldo, ha le vene, i nodi, se prende l’acqua si modifica, è naturale. È da sempre legato all’uomo e lo possiamo definire il più umano tra i materiali.
I miei personaggi sono umani e vengono da legni diversi, mi piaceva la varietà. Una gamba di Olmo ad esempio è un pezzetto della yurta, una tenda mongola alla quale sono molto legato.
I personaggi sono bellissimi, poetici e decadenti, con quelle fragilità e imperfezioni che ci fanno voler bene alle cose fragili e imperfette.
La cosa che più colpisce è che hai fatto tutto da solo: “Un film di Davide Calvaresi… con costruzione oggetti, riprese, montaggio di Davide Calvaresi, scritto e diretto da Davide Calvaresi”. E hai anche una parte nel corto. Ecco, quali sono state le cose più difficili da realizzare e/o pensare?
È stato un lavoro lungo e complesso, anche perché potevo farlo nei ritagli di tempo tra un lavoro ed un altro. Certo la realizzazione è stata impegnativa, ma forse la cosa più difficile per me è stata proprio la scelta delle forme, dei volti, dei corpi che dovevano funzionare sia nei movimenti sia nella storia. Il braccio destro di Olmo l’ho fatto e rifatto perché non non ero mai contento, non volevo sembrasse un robot. Insomma, trasformare le idee in dettagli che mi permettessero di muovere i personaggi senza intoppi è stata una bella sfida.
Parliamo di Olmo, ha un interruttore per naso e un chiodino sul cuore. Come sei arrivato alla sua faccia?
Volevo che avesse una forte espressività. Sapevo non avrebbe parlato e la sfida era trovare una faccia che da sola potesse dire tutto. Dopo vari tentativi sono arrivato alla testa quadrata e i due piccoli occhi vicini. Un equilibrio non facile da trovare, ma concentrare tutto dentro poco spazio e lasciare il legno libero intorno mi è sembrata la scelta giusta. Appena l’ho visto ho detto: eccolo, è lui Olmo.
Dicci qualcosa su di lui, segni particolari, segno? E il nome?
Olmo è un pezzo di legno, il suo segno particolare è un nodo di legno in testa, è dell’acquario ma non ha nessun ascendente. Non ama i segni di fuoco e i decespugliatori.
È molto forte e generoso, si sacrifica sempre per le cause altrui, rischiando a volte anche la vita.
Arrivare al nome è stato un percorso “sofferto”. Olmo mi piaceva per l’accostamento delle lettere, o-o sono come due occhi, e per il suo simbolismo: l’olmo è un albero sacro, purificatore. Poi per finire, lungo la Salaria a Castel di Lama, vicino casa, esisteva una trattoria che si chiamava Trattoria dell’Olmo e aveva un olmo davanti. Quando ci passavo davanti mi faceva sempre ridere, ma adesso non c’è più.
Quanto c’è di digitale e quanto di manuale nel tuo corto?
È tutto manuale, ogni movimento è fatto da me e dai miei guanti neri che si confondono con lo sfondo. Ero alla regia e allo stesso tempo animavo la scena con fili e zeppette. Ho fatto tante prove, non sapevo se era giusto far vedere i fili e la tecnica o essere puliti il più possibile e nascondere tutto. Ho ricreato una piccola città, una sala, una segheria, oggetti minuscoli e oggetti più grandi, tutto quello che si muove si muove sul set e di digitale c’è solo lo sbattere degli occhi, serviva per dare vita e umanità.
Parliamo delle grandezze, quanto sono grandi gli oggetti? E dove li hai realizzati?
Olmo ad esempio è grande come un libro.
Il telefono piccolo è grande come una moneta da due euro.
Il telecomando piccolo è grande come una mandorla, mentre il telecomando grande è grande come un telecomando grande.
Tutto nasce nella mia casa in campagna, il set è una tavola 50cm x50cm illuminata e messa al centro di una stanza che avevo coperto con dei teli neri.
Arriviamo quindi all’artigianalità del tuo lavoro che è l’aspetto che ci ha smosso il cuore più volte durante la visione. Ci fai vedere la sala operatoria e i tuoi collaboratori?
Davide ci invia le seguenti foto
(*audio notifica WhatsApp)
I GUANTI
I guanti rappresentano l’elemento di protezione per non lasciarsi contaminare dall’atto creativo. I guanti sono la maschera delle mani.
LA MORSA
La morsa è il banco della sala operatoria, qui avvengono le operazioni più delicate nella costruzione dei personaggi; la morsa è per Olmo il lettino dello psicanalista dove abbiamo passato interi pomeriggi a cercare di capirci.
LE ZEPPETTE
Le zeppette sono delle zeppette, i bisturi, i cordoni ombelicali che collegano l’uomo alle creature di legno; se si lasciano le zeppette i personaggi cadono senza vita.
LA LAMPADA
La lampada è l’oggetto che con la sua luce definisci il campo di azione, la zona dove i personaggi di legno si muovono oltre a questa c’è il buio, il nero dove opera l’uomo.
L’ACCROCCHIO
L’accrocchio è uno specchio che riflette il mondo di Olmo, questo è strumento fondamentale perchè permette all’uomo di scrutare Olmo nella sua dimensione.
Perché l’animazione?
L’animazione è una forma espressiva che amo molto perché mi permette di creare dei mondi che posso gestire, controllare, cambiare e alterare a piacimento. Mi piace, sono a mio agio nelle infinite possibilità che offre.
Ne “La grande bellezza” Suor Maria dice a Jep di nutrirsi di radici, perché “le radici sono importanti”, e qui è proprio il caso di parlare di radici. Pina ad esempio “era un gran pezzo di legno proveniente dalle conifere dei monti Sibillini”. Parlaci un po’ di lei.
Già già, Pina è proprio un gran pezzo di legno proveniente dalle conifere dei monti Sibillini.
Ci tengo ai riferimenti alla mia terra e a mantenere un legame con le cose con cui sono cresciuto. La vallata del Tronto, le montagne, i boschi.
Non è solo la Pina di Fantozzi, certo in parte, ma anche e soprattutto è la femmina del pino, albero resistente e sempreverde dalle tante proprietà curative. Infatti saprà curare Olmo, almeno un po’.
Pina ha la testa a triangolo, che ogni tanto gira come una trottola e finisce per mettersi nei guai, ecco perché volevo una forma semplice, di facile lettura, ma anche un po’ “hey, pericolo!”
I suoni sono affascinanti. Come sei arrivato a definirli?
Ho fatto molta ricerca sui suoni, e in un corto del genere è fondamentale scegliere quelli giusti. All’inizio non sapevo proprio che voce dare ai personaggi che parlano, poi ancora una volta mi hanno dato una mano le radici di cui parlavamo prima. La voce di Pina ad esempio è fatta dai fuselli del tombolo di Offida, la mia città. Non tutti parlano, Mr Tarlo non parla, lui mangia il legno e basta.
Come mai hai scelto di far comparire un umano in un film tutto di legno, che poi sei tu?
La realtà nel corto è fatta di legno. Il mondo della televisione invece è fatta di umani, che sono il diverso, la fascinazione.
Per Olmo la televisione è una finestra su un “luogo” che non conosce, un mondo virtuale che lo incuriosisce e lo fa commuovere. Mi divertiva questo punto di vista diverso. Anche noi se ci pensi guardiamo la tv pensando che quelle persone siano diverse da noi.
Chi ti conosce giurerebbe che Olmo è il tuo alter ego, quello che Mastroianni era per Fellini. È così?
Mi stai chiedendo se a volte non so dove sbattere la testa? (*ride ndr)
Ci sono dei nodi sulla faccia di Olmo, e io ho tanti nei sulla faccia. Sì, ecco lo sento affine a me. Certo racconto una storia, ma in questa storia sicuramente c’è un aspetto della mia vita.
Lo sai che se Wes Anderson vedesse Olmo ti vorrebbe subito per fare “L’isola degli Olmi”?
bzzz Scusa rete disturbata, non ho campo… bzzz…
Dicevi?
Il Globo d’Oro è un premio cinematografico italiano molto importante. Come la stai vivendo questa nomination?
Ancora non mi sembra vero, andrò con Olmo, ci vestiremo bene e proveremo a socializzare un po’ per evitare di essere due pezzi di legno. Siamo ansiosi ma molto felici.
Grazie Davide, un’ultima cosa, ci mandi un selfie che lo mettiamo sulle Instagram Stories?
Davide ci invia il selfie
(*audio notifica WhatsApp)
Il trailer di Olmo, un film di legno: