C’era grande attesa, dietro a Loro, il film di Paolo Sorrentino che racconta un pezzo della storia di Silvio Berlusconi, e per la precisione alcuni degli anni della decadenza politica, gli anni degli scandali sulle condotte di vita “libertine”, una vita fatta di feste e ragazze; gli anni infine della separazione dalla moglie Veronica Lario. L’attesa è stata ben ripagata da Sorrentino.
Reduce dall’esperimento televisivo “The Young Pope“, Paolo Sorrentino torna al cinema e lo fa nel segno della serialità, spezzando il film in due distinte parti e dimostrando come ormai, seppur stretto in logiche commerciali e di distribuzione che la fanno da padrone probabilmente anche sulla voce di un autore premio Oscar, il Cinema può seguire gli schemi virtuosi dei prodotti delle serie tv e realizzare opere di qualità.
Sorrentino, con Loro, approda alla maturità artistica, ad una pienezza di sguardo stupefacente, e al contempo torna ad una essenzialità del racconto che nella sua produzione mancava dai tempi de “Le conseguenze dell’amore” e “L’amico di famiglia“. Se si volesse riassumere il giudizio sui due Loro in una parola, forse questa potrebbe essere “completezza”. Una completezza che è rappresentata da un elemento che caratterizza entrambi i film, Loro 1 e Loro 2: l’elemento del doppio. Pensateci.
Quello che Sorrentino e lo sceneggiatore Umberto Contarello hanno fatto è stato realizzare un affascinante puzzle composto da pezzi, spunti che viaggiano “in coppia”, l’uno in qualche modo complementare all’altro. Sin dalla struttura finale del prodotto. Due sono i film, e addirittura nel primo film il primo tempo (quello in cui viene introdotto il personaggio di Morra alias Riccardo Scamarcio) e il secondo tempo sono diametralmente opposti come ritmo, rumori, montaggio. Due sono le realtà raccontate, la Roma di puttane e puttani disposti a tutto pur di arrivare a Lui, a Silvio, e la Sardegna silenziosa e verde della Villa in cui l’ex premier cerca di ricucire i pezzi del rapporto con la moglie. Forte è peraltro la dicotomia che si avverte tra la rappresentazione fornita da Paolo Sorrentino dell’umanità, umanità di prostituti senza speranza, e la rappresentazione degli animali che compaiono nel film: poveri rinoceronti dello zoo che i guardiani lasciano scappare, capretti indifesi e vittime inconsapevoli dell’opulenza insensata di quella umanità (la scena d’apertura di Loro 1, in cui “recita” il povero capretto, è memorabile).
Ancora, doppia è la dimensione raccontata del Berlusconi uomo: la dimensione pubblica dell’uomo politico che cerca di tornare al potere ed è assediato da complotti interni; ossessionato dai presunti complotti dei Magistrati, e poi la dimensione privata, il marito che cerca di riprendere il controllo del suo matrimonio ormai in frantumi. Nel secondo film, questa duplice dimensione si coniuga in un ulteriore interessante aspetto legato alla nostalgia di Berlusconi per il suo passato da incomparabile venditore. Ed ecco che abbiamo in Loro 2 quel monologo strepitoso di Toni Servillo/Silvio Berlusconi che finge di essere un agente immobiliare: dunque il Berlusconi del passato, venditore eccezionale, e il Berlusconi del presente, malinconico e che tenta in maniera caparbia e disperata di recuperare la brillantezza del tempo che fu. Come non pensare, poi, all’espediente del mettere in scena l’adulante Ennio Doris, interpretato sempre da Toni Servillo, in una scena a pranzo con Silvio Berlusconi all’inizio del secondo film. Una scena che diviene, oltre ad essere un piccolo gioiello di istrionismo recitativo di Servillo, una rappresentazione della capacità quasi “fisica” di Berlusconi di essere in fondo ognuno di noi, di replicarsi. Appunto, di duplicarsi.
Infine, sono altri due momenti decisivi di questo bellissimo racconto del doppio. Il primo è inevitabilmente il “duello” tra Berlusconi e la moglie, questa fine del loro amore fatta di silenzi di lei, battute di lui, sorrisi di lui e sguardi dolenti di lei. Fino al doloroso confronto finale, in una cucina. Il racconto di Sorrentino prendeva in esame il periodo segnato dalla fine del matrimonio tra Berlusconi e la signora Lario, e pertanto non poteva prescindere dal giocare sul contrasto tra queste due figure.
Il secondo momento, che risulta fondamentale per comprendere il respiro di questo film, e la forte idea di cinema che lo sostiene, è la messa in scena in sequenza della festa in Villa Certosa con le ragazze, una festa triste, dove tutto sembra scritto a copione, dove il padrone di casa non vede l’ora che tutte vedano il vulcano che erutta, dove si respira l’aria di decadimento morale infinito di questa Italia, un paese che va in pezzi; poi, alla fine del film, quando la musica si ferma, la scena del terremoto dell’Aquila del 6 Aprile 2009. Il crollo degli edifici, il terrore, la disperazione: la distruzione “fisica” della comunità, che segue quella morale che Sorrentino ci ha raccontato nelle restanti quattro ore dei due film. Con l’ultima immagine, i pompieri stremati dalle operazioni di salvataggio, che ci fa pensare che i “loro” del titolo scelto da Sorrentino, possano essere proprio quei cittadini che vivono e lavorano al servizio, dopo aver lasciato supporre che i “loro” fossero quei cittadini servizievoli e senza etica che vivevano alla corte del Re, raccontati soprattutto nella prima parte, mentre tutto intorno l’Italia stava andando in pezzi. C’è dunque un decadimento profondo, ineluttabile quasi, ma c’è anche speranza, par volerci dire Sorrentino, entrato con questa opera nella seconda parte della sua carriera.