Tra gli appuntamenti che maggiormente creano attesa nei cinefili italiani all’inizio della nuova stagione c’è certamente la designazione del film che ci rappresenterà agli Oscar.
La commissione istituita dall’Anica nomina il film tra coloro che presentano spontanea autocandidatura e questo spinge spesso ad affermazioni piuttosto avventate secondo le quali un dato film è in corsa per l’Oscar ancor prima di esservi stato selezionato. L’autocandidatura è in pratica un atto necessario da parte delle produzioni perché, qualora si venisse scelti, è previsto un’iter promozionale del film negli Stati Uniti che può rivelarsi anche estremamente dispendioso. Ben 14 film quest’anno si sono iscritti alla competizione mettendo insieme anche aspetti diversi della nostra attuale cinematografia, dalle tante espressioni del nostro neo-neorealismo fino alla commedia civile di Ficarra e Picone, “L’ora legale”. Alla fine la scelta della commissione è caduta su “A Ciambra” di Jonas Carpignano, che già a Cannes, dove era stato presentato alla Quinzaine des Realizateurs, aveva vinto il premio Europa Cinema Label.
Quella di Jonas Carpignano sembra la storia di un predestinato. Nato da padre italiano e madre afroamericana, ha prima scelto di studiare cinema negli Stati Uniti e poi ha trovato nella piana di Gioia Tauro in Calabria il giusto universo da raccontare in un intreccio che mescola perfettamente la vita reale con la finzione cinematografica. Il suo primo lungometraggio “Mediterranea” raccontava il viaggio della speranza di un giovane del Burkina Faso che stabilitosi a Rosarno si trovava costretto a fare subito i conti con l’ostilità della popolazione locale. Il film ricevette nel 2015 la candidatura al Premio Lux del Parlamento Europeo.
“A Ciambra”, nome dello stanziamento rom di Gioia Tauro, ha origini più lontane ed una genesi a dir poco insolita. Durante i sopralluoghi per un cortometraggio che stava realizzando a Carpignano fu rubata l’auto e gli fu suggerito di mettersi in contatto con la comunità rom. Nonostante l’antefatto poco piacevole con il giovane Pio, protagonista del film, fu amore a prima vista. Dopo avergli affidato un piccolo ruolo in Mediterranea, Carpignano ha così deciso di costruire un’intera opera sulle spalle di questo straordinario ragazzino che si sforza di mantenere i difficili equilibri all’interno della propria famiglia dopo l’arresto del padre e del fratello maggiore, ma anche di costruire buone relazioni con la popolazione locale e con la comunità africana (l’amicizia con il ragazzo del Burkina Faso protagonista di “Mediterranea” diventa chiave narrativa del film). Con “A Ciambra” Carpignano realizza un’opera potente e magnetica in cui il cinema del reale riesce ad essere filtrato attraverso uno sguardo registico di ampio respiro. L’opera che, a mio avviso, pecca solo di qualche lungaggine, ha ricevuto l’imprimatur di uno dei grandi maestri del cinema mondiale, Martin Scorsese, che ha voluto esserne produttore esecutivo. Il talento di Carpignano è indiscutibile e l’opera riesce a portarci con grande naturalezza all’interno di un mondo verso il quale nutriamo ancora pregiudizio e rifiuto, resta però il timore che il cinema italiano si stia ancorando sempre di più all’iperralismo e ai temi della marginalità visto che anche tante altre opere presentate a Cannes e Venezia volgono il loro sguardo a questi mondi. Penso a “L’intrusa” di Di Costanzo, a “Cuori puri” di De Paolis e a “L’equilibrio” di Marra, solo per citare le opere più belle e degne.