E’ arrivata anche in Italia, il 18 di aprile distribuita dalla Teodora Film, la commedia sociale che ha sbancato il botteghino francese assestandosi oltre i 10 milioni di euro di incasso. Le invisibili è l’opera terza del regista Louis Julien Petit che già nel suo esordio, Discount, aveva saputo raccontare una storia di resilienza (quella di un gruppo di cassiere che avevano dovuto cedere il proprio posto alle casse automatiche) attraverso toni brillanti e carichi di energia vitale.
Il percorso di creazione de Le invisibili parte da lontano e trova necessariamente la sua matrice nello sguardo e nel cuore di una donna, Claire Lajenieu, che, attraverso un saggio letterario, Sur la route des Invisibles: Femmes dans la rue, culminato poi nel documentario Femmes Invisibles, aveva condiviso il percorso di esplorazione che aveva compiuto all’interno dell’universo delle donne senzatetto francesi e di chi lungo quella strada porge loro assistenza. Folgorato da questo lavoro Louise Julien Petit aveva inteso approfondirne la conoscenza vivendo per oltre un anno a stretto contatto con le stutture di accoglienza alla ricerca di testimonianze ed esperienze che potessero restituire la massima veridicità al film che si accingeva a realizzare.
Il film racconta l’ultimo pezzo di vita dell’Envol, un centro di accoglienza diurno parigino per il quale il comune ha disposto l’ordinanza di sgombero entro tre mesi. L’annunciata chiusura di quei cancelli spalanca ancora di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, il cuore e la determinazione delle quattro operatrici che quotidianamente assistono una dozzina di donne senza fissa dimora, offrendo loro molto più di un piatto caldo e di un bagno dove ritrovare igiene e decoro. Audrey, Helene, Angelique e Manu danno vita ad un’esemplare atto di disobbedienza civile utilizzando ogni metodo, spesso non contemplato dai regolamenti, per trovare un lavoro ed un futuro dignitoso alle loro assistite che, nascondendosi dietro i pittoreschi nomi delle loro eroine (Lady Di, Brigitte Bardot, Beyoncé, Edith Piaf, Simone Weil, la Cicciolina, Dalida, Vanessa Paradis) si troveranno a confrontarsi nuovamente con quel mondo che per molto tempo le aveva posto (o imposto di porsi) ai margini della società. Emblematico è il personaggio di Chantal, donna di mezza età con un sofferto trascorso in carcere per l’uccisione di un marito violento, che fatica a trovare un lavoro pur avendo sviluppato durante la detenzione (cosa di cui parla con toccante candore) una straordinaria abilità a riparare elettrodomestici.
A dare volto ed umanità alle donne senzatetto sono prevalentemente attrici non professioniste con un reale vissuto di strada, mentre nel ruolo delle quattro operatrici del centro troviamo attrici che godono di grandissimo seguito in Francia e che, ponendosi quasi sempre come caratteriste, hanno raccolto numerose nomination ai Cesar nella categoria di migliori attrici non protagoniste. Petit le porta alla ribalta ed è proprio sui loro personaggi che fa uno straordinario lavoro di definizione dei percorsi umani, rendendole tanto forti nell’espressione del loro progetto sociale, quanto fragili al cospetto del vissuto privato. La loro invisibilità (perchè il titolo del film abbraccia indistintamente tutte le protagoniste del racconto) è figlia di amori taditi o mai sbocciati, di lavori sottopagati e sottostimati, di un senso di solidarietà affermato ma mai più riconosciuto come valore cardine della comunità in cu vivono.
L’umanità delle donne portate in scena da Petit, unita al coraggio con cui affrontano le situazioni più improbabili, genera nello spettatore il nobile sentimento della tenerezza con una magnifica alternanza di sorrisi divertiti e di lacrime commosse. La commedia sociale torna così ad affermarsi sulla scena internazionale dopo aver caratterizzato negli anni 90, in epoca thatcheriana, una brillante stagione del cinema inglese (Full monty, Billy Elliot, Grazie signora Thatcher, L’erba di Grace solo per citarne alcuni). Le invisibili riesce a far sentire forte il suo grido di denuncia contro quelle istituzioni che schierano la polizia e disumanizzano le assistenti sociali pur di far rispettare ordinanze volte a fermare il lavoro di chi spende la propria vita per dare una nuova speranza agli ultimi, una nuova luce alle invisibili. Ma la denuncia non si limita alle istituzioni ed investe anche quella società civile che davanti a queste battaglie si macchia dell’ignobile crimine dell’indifferenza. Una testimonianza, quella che arriva dal film, che scuote le coscienze di ciascuno di noi preparando il campo ad un finale che sa di resa e di vittoria, di fine e di principio, di un ridere amaro e di un piangere dolce. Una scena, quella che chiude il film, che sembra avere tutta la forza del momento in cui gli studenti declamano il celebre “Capitano, mio capitano” ne L’attimo fuggente.
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