L’architettura dei sentimenti. I disegni amorosi di Paolo Franchi e Rolando Colla

Dove non ho mai abitato di Paolo Franchi e Sette giorni di Rolando Colla. Continua il nostro viaggio nel nuovo cinema italiano.

La nuova stagione cinematografica italiana sembra essere iniziata nel segno di un ritrovato filone sentimentale, un genere che il nostro cinema non è mai riuscito a fare completamente suo e che, sempre più spesso, ci siamo trovati costretti ad invidiare ai cugini francesi. Forse anche per questo motivo fa particolarmente piacere poter applaudire ora, uno dietro l’altro, due film che, pur nella diversità dei contesti narrativi, riportano al centro del racconto le emozioni (non sempre felici) dell’innamoramento in età matura.

E’ in sala da pochi giorni Dove non ho mai abitato di Paolo Franchi che segue di alcune settimane l’uscita di “Sette giorni” di Rolando Colla, film di cui il nostro cinema si può appropriare solo in parte. Rolando Colla è infatti svizzero di nascita da genitori italiani ma ha sempre sempre scelto di ambientare i suoi film nel nostro paese (il suo film d’esordio “Giochi d’estate” è un racconto di formazione che si svolge in Maremma). E’ evidente che sia il film di Franchi che quello di Colla si legano ai classici di genere del cinema francese anche grazie alla recitazione di due grandi interpreti francofoni. La splendida Emmanuelle Devos è Francesca nel film di Franchi, mentre Colla affida il ruolo di Ivan allo svizzero Bruno Todeschini, che in passato aveva lavorato proprio con Franchi, accanto ad Elio Germano, in “Nessuna qualità agli eroi”.

Dove non ho mai abitato Sette giorni

Paolo Franchi, dopo la tormentata parentesi di “E la chiamano estate” con Isabella Ferrari che aveva ricevuto, tra l’indignazione generale, un doppio premio al Festival del Cinema di Roma del 2012, ritrova le atmosfere delicate e rarefatte che avevano caratterizzato il suo bellissimo esordio con “La spettatrice” interpretata da un’incantevole Barbora Bobulova.
“Dove non ho mai abitato” è il racconto di un sentimento che si dipana molto lentamente e che il regista decide di mantenere su un piano di profondo pudore. Francesca (la Devos appunto) torna in Italia per assistere il padre (Giulio Brogi), architetto molto stimato, ma genitore troppo autoritario. Ed è proprio l’autorità del padre a riportare Francesca in quello studio, che non ha mai voluto sentire suo, dove incontrerà Massimo (un profondo Fabrizio Gifuni) con cui condividerà molto di più che il progetto di ristrutturazione della villa di una giovane coppia. L’architettura dei sentimenti che Franchi disegna insieme ai due protagonisti è elegante e raffinata, come la Torino che li accoglie e la musica di Chet Baker che risuona nell’aria (la colonna sonora porta invece la firma prestigiosa del maestro Pino Donaggio). L’indagine all’interno dei rapporti di coppia continua ad essere il terreno su cui Franchi sceglie di misurarsi e per farlo delinea la complessità di due personaggi che hanno sempre scelto di sfuggire ai sentimenti e al senso del dovere verso il partner. Le atmosfere sono un po’ retrò: il loden verde di Paolo (il cliente dello studio), la mantellina e i colletti alla coreana dell’anziano padre sono scelte che rafforzano questa percezione. Nel film anche un cameo di Naike Rivelli il cui sguardo resta folgorante.

Molto simili sono le condizioni nelle quali si sviluppa la relazione tra Ivan e Chiara in “Sette giorni”. Anche loro si ritrovano a condividere, in un arco temporale molto più stretto (i “sette giorni” del titolo), un comune obbiettivo. Ivan e Francesca si incontrano a Levanzo, piccola isola dell’arcipelago delle Egadi, per organizzare il matrimonio del fratello di lui con la migliore amica di lei, entrambi con un passato di tossicodipendenza. Lei ha lasciato a casa un marito, lui sta provando a lasciarsi alle spalle fallimenti ed incertezze. Colla eleva progressivamente l’intensità del rapporto rendendo ben presto esplicita anche la relazione carnale tra i due amanti che provano a negarsi e a darsi regole a cui non sarà facile resistere. Insieme compiono un processo di trasformazione che li porterà a nuove consapevolezze. L’isola, con le sue facce, i suoi suoni e le sue arcaiche tradizioni, è assoluta protagonista e Colla dimostra di aver compiuto un attento lavoro di ricerca antropologica amalgamando splendidamente il racconto con il contesto culturale nel quale lo colloca. In un simile scenario l’astrazione dalla realtà sembra favorire l’esplosione dei loro sentimenti, tutto ciò che li circonda è altro da loro ma lentamente finisce con l’appartenergli. La capacità di Todeschini di svelare lentamente il suo mondo interiore già la conoscevamo (l’anno scorso lo avevamo visto in un bel ruolo anche ne “La vita possibile” di Ivano De Matteo), ma la vera rivelazione del film è Alessia Barela che mette in scena corpo ed anima trovando in questo film il personaggio più bello della sua filmografia. Aurora Quattrocchi (“E’ stato il figlio” di Ciprì) e molti attori non professionisti hanno invece i bei volti incisi della gente di mare. Il rito matrimoniale celebrato il settimo giorno sarà pieno di magia ma anche carico di tensione per la parola “fine” che incombe sui protagonisti più che sugli spettatori.

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