La Terra dell’Abbastanza, una discesa verso gli inferi dal quale è difficile risalire

La terra dell’abbastanza, uscito in Italia il 7 giugno, è un film di Damiano e Fabio D’Innocenzo, autori e sceneggiatori di questa che è la loro opera prima, presentata al Festival di Berlino di quest’anno nella sezione Panorama.

 

la terra dell'abbastanza

Nemo propheta in patria. Troppo spesso accade che le pellicole prodotte nel nostro Paese abbiano vita difficile proprio qui, in Italia. Perché il cinema italiano, troppo spesso e con troppa leggerezza, viene associato all’idea di un cinema di serie B, come se noi, le eccellenze, non le avessimo. E se qui (in Italia) una pellicola come La terra dell’abbastanza non ha vita facile, per fortuna c’è qualcuno che lì (a Berlino) l’ha acclamata e le ha reso gli onori che merita. Perché usciti dalla sala si ha l’impressione di aver assistito ad un’opera che nulla ha da invidiare al cinema del resto del mondo.

la terra dell'abbastanza

La storia è quella di Mirko (Matteo Olivetti) e Manolo (Andrea Carpenzano), due ragazzi che frequentano la scuola alberghiera e sognano di finire di studiare e cominciare a lavorare. Si confidano i sogni e le paure, in un’età in cui tutto è possibile e l’orizzonte sembra costellato di possibilità, anche se vivi nel degrado di una periferia romana. Ma quando, a bordo di un’auto, investono un uomo, le possibilità, davanti a loro, sembrano diradarsi e ne rimangono solo due: rimanere o scappare. Per loro fortuna l’uomo che hanno investito e ucciso era un pentito della mafia locale e la sua morte è stata un inatteso regalo per il clan dei Pantano, il cui boss (Luca Zingaretti) decide di prendere Mirko e Manolo sotto la sua ala.

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Comincia per loro una lenta ascesa (o discesa) nel mondo della criminalità romana, fatta di droga, prostituzione e conti da regolare. I soldi facili rendono più sopportabile quello che sono costretti a fare, quello che sono costretti a vedere. “L’importante è non pensare”, consiglia Manolo all’amico. L’importante è eseguire gli ordini senza farsi troppe domande, senza chiedersi se è giusto o sbagliato. Ma tutte le azioni hanno delle conseguenze e Mirko e Manolo lo capiranno a loro spese.

I fratelli D’Innocenzo costruiscono un’opera convincente che racconta una realtà ostile che ricorda i paesaggi inospitali di “Non Essere Cattivo” di Claudio Caligari o del più recente Dogman di Matteo Garrone. Un ambiente degradato in cui i suoi abitanti più che vivere devono sopravvivere. Come avviene per il padre di Manolo (Max Tortora), un reietto che vive in una casa fatiscente e trascorre le sue giornate alle slot machine del bar del quartiere. O come avviene per la madre di Mirko (Milena Mancini), lacerata e al tempo stesso rassegnata da quello che Mirko è diventato. E infine Mirko e Manolo, amici da una vita, uniti da un affetto sincero, scaraventati in una realtà più grande di loro, in cui bisogna lottare per rimanere a galla.

Quella dei D’Innocenzo è una scrittura realistica, tagliente, che arriva come un pugno allo stomaco. Perché La terra dell’abbastanza è un film che ferisce, che fa male. E la macchina da presa ci accompagna in questa discesa agli inferi dalla quale a fatica si riemerge, con uno sguardo che non vuole dare giudizi, ma solo presentare questa storia con verità e limpidezza per creare un film da ricordare. Per un cinema di serie A.

/// il trailer ///

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