L’intrusa di Leonardo Di Costanzo e L’Equilibrio di Vincenzo Marra, viaggio nel cinema napoletano da Cannes a Venezia.
Il cinema napoletano si porta addosso etichette pesanti e a volte anche improprie. La ricca pattuglia dei film “made in Napoli” presentati a Venezia (ed a Cannes) sono stati spesso riuniti nella definizione di “cinema della terra dei fuochi”, dopo che per anni era stato il marchio “Gomorra” a fare da comune denominatore di tante produzioni partenopee. Due film però acquistano, per valore artistico e per potenza del messaggio, una forte identità propria. “L’equilibrio” visto a Venezia a Giornate degli Autori e “L’intrusa” presentato a Cannes alla Quinzaine des Realizateurs portano rispettivamente la firma di Vincenzo Marra e Leonardo Di Costanzo, straordinari narratori dei diversi strati della società napoletana, più volte raccontata anche attraverso le loro opere documentarie. Ciò che eleva le opere di Marra e Di Costanzo è il loro sguardo sincero e pieno di pudore, che mette lo spettatore al riparo da ogni forma di retorica e di facile moralismo. Marra e Di Costanzo ci portano all’interno di realtà già tante volte esplorate ma nel loro cinema lo spettatore non trova mai risposte pre-confezionate, si sente totalmente libero di interpretare gli avvenimenti e di decidere da che parte stare. Spesso fronteggiando difficili dilemmi morali.
L’equilibrio nasce dall’esperienza profondamente negativa in cui Marra si è venuto a trovare nell’hinterland napoletano quando ha deciso di realizzare un documentario su un prete-coraggio famoso per il suo impegno nella “terra dei fuochi”. Le pressioni ambientali si sono fatte insostenibili e Marra, supportato dal suo storico produttore Gianluca Arcopinto, è stato abile a trasformare un possibile atto di resa in una grande opportunità partorendo in breve tempo un film che mette a confronto due diversi modi di vivere il sacerdozio in un territorio profondamente degradato e violento. La ricerca di “equilibrio” in quel contesto è una difficile arte e Marra sembra volerci invitare a non prendere frettolose posizioni. Esattamente come accadeva ne “La prima luce” dove lo spettatore era portato a stare dalla parte del padre (Riccardo Scamarcio), anche se sottilmente Marra riusciva a farci riflettere sulle ragioni della madre in uno scontro che non aveva carnefici ma solo vittime.
Ne L’intrusa è più evidente il taglio documentaristico dell’opera. Di Costanzo ci tiene per quasi tutto il film chiusi in un recinto (proprio come ne “L’intervallo”), quello che delinea l’area in cui si svolge la vita di una cooperativa sociale che promuove attività educative e ricreative per bambini svantaggiati. In quel recinto c’è anche una casupola in cui la responsabile accetta di dare ospitalità ad una giovane donna con la sua bimba, ma qualche notte dopo le due ospiti si scopriranno essere moglie e figlia di un killer della camorra. Di Costanzo costruisce un’atmosfera quasi magica quando ci mostra le attività ludiche dei bambini ed è bravissimo a contrapporgli la tensione degli adulti che si interrogano sul rapporto da avere con “l’intrusa”.
I due film hanno forti punti di contatto anche nella scelta degli attori protagonisti. Vincenzo Marra affida il ruolo di Don Giuseppe, il sacerdote più combattivo, a Mimmo Borrelli, drammaturgo, regista e dirompente attore teatrale che al cinema accetta di lavorare per sottrazione risultando volutamente legnoso nel suo procedere per scatti, così come suggeritogli dai suoi moti di rabbia. Accanto a lui Marra pone la figura di Don Antonio, il prete che fa della mediazione la sua arma perfetta, e per la parte sceglie Roberto Del Gaudio, leader dei Virtuosi di San Martino, formazione che unisce musica e teatro sulla base di testi, cinici e dissacranti, scritti dallo stesso Del Gaudio. Per “L’intrusa” Di Costanzo guarda invece a nord, ma anche lui pesca in un ambito diverso da quello più comunemente cinematografico. Giovanna, la responsabile del centro, ha il volto della torinese Raffaella Giordano che al cinema aveva già lavorato con Martone sia nelle vesti di attrice che di coreografa, ma che ha costruito il suo percorso artistico principalmente nel mondo della danza. Giovanna come Don Giuseppe ha una recitazione trattenuta, che inizialmente sembra quasi infastidire lo spettatore, ma che lentamente svela tutta l’umanità e il travaglio interiore.