Copia originale. La donna che fece vivere due volte

Forte di tre nomination in categorie prestigiose (miglior attrice protagonista, miglior attore non protagonista e migliore sceneggiatura non originale) arriva nelle sale italiane, proprio nel weekend che precede la consegna degli Oscar, Copia originale – Can you ever forgive me? di Marielle Heller,  un film che, a mio avviso, avrebbe meritato di concorrere anche nella categoria principale come miglior film.

Una donna sgraziata nei modi e nell’aspetto, un gatto vecchio e malato, un appartamento fetido e disordinato: si comincia così ma, anche se le premesse sembrano essere assolutamente respingenti, i 100 minuti che seguono sono densi di tenerezza e malinconia, di arguzia ed ironia.

La storia di Leanor Carol “Lee” Israel, autrice di biografie prematuramente caduta in disgrazia, è tanto assurda quanto vera ed il primo merito di chi ha voluto tradurre in opera cinematografica Can you ever forgive me?, l’autobiografia che la Israel riuscì a dare alle stampe nel 2008, è quello di averla fatta conoscere al pubblico di tutto il mondo.

Una storia assurda ma vera, quella di una scrittrice che, nel momento in cui la sua vena artistica sembrava essersi irrimediabilmente esaurita e la sua editrice non era più disposta a finanziarle nuove opere, trovò un insolito espediente truffaldino che le permise di risollevarsi dallo stato di profonda indigenza in cui era precipitata ma soprattutto di ritrovare se stessa e il suo straordinario talento creativo.

copia originale

Era il 1991. Lee Israel, prendendo spunto dalla disperata vendita di una lettera che le aveva scritto Katherine Hepburn, comprese che la sua salvezza si nascondeva proprio in quelle romantiche e polverose librerie che trattavano come reliquie quei cimeli destinati ad un appassionato mondo di collezionisti ed antiquari. Il segreto del suo successo fu quello di riuscire a falsificare circa 400 lettere di personaggi famosi (Dorothy Parker, Louise Brooks, Margaret Mitchell, Noël Coward, Edna Ferber, Lillian Hellman ed altri ancora)  per poi venderle proprio a quei librai con i quali stabilì un subdolo rapporto di fiducia che le consentì a lungo di eludere ogni sospetto, ma le impedì al tempo stesso di cogliere l’opportunità di qualche buona ed affettuosa amicizia, come quella che nel film tenta di proporle il personaggio di Anna.

In questo suo nuovo percorso creativo Lee trovò però la complicità, prima di tutto umana, di Jack Hock, affascinante ed eccentrico scrittore omosessuale il cui talento era ormai naufragato nei molteplici bicchieri di whisky che mandava giù quotidianamente e che ben presto cominciò a condividere proprio con la Israel, anche lei alle prese con seri problemi di alcolismo, che furono tanto causa quanto effetto della fine di una relazione sentimentale e del suo tracollo professionale.

Ecco, l’incontro tra Lee e Jack rappresenta il momento giusto per abbandonare la narrazione dal punto di vista del testo autobiografico della Israel per cominciare ad entrare più specificamente nel film e conoscerne i suoi protagonisti. I bar di New York e la musica suonata nei club offrono atmosfere cariche di suggestioni nelle quali si muovono due interpreti meravigliosi, Melissa McCarthy e Richard E. Grant, entrambi autorevolmente in corsa per l’Oscar. Lei mette (tanto) corpo e (tantissima) anima nel film, lui aggiunge un’aria sorniona ed un’eleganza d’altri tempi, insieme sono in grado di creare un mix esplosivo in cui il dramma della miseria e della solitudine riesce a convertirsi in armonia e leggerezza.

Il titolo italiano del film purtroppo tradisce il sentimento autobiografico della Israel pur provando, con un infelice gioco di parole, ad indurci ad una riflessione sulla creazione artistica. Le lettere di Lee infatti non hanno mai il sapore della contraffazione, ma intendono restituirci un mondo perduto e far rivivere quegli autori attraverso l’accurata rappresentazione dei loro stili di vita e delle loro emozioni. Vita e arte della “falsaria” si mescolano così con quelle dei “falsificati” per dare origine ad un prodotto artistico che sa stare al mondo con un’autorevolezza tutta sua.

copia originale

La terza nomination agli Oscar se la sono meritatamente conquistata gli autori della sceneggiatura non originale Nicole Holofcener (ideatrice del progetto e già regista de La seconda vita di Anders Hill) e Jeff Whitty. Quello che però sorprende è che l’attrice a cui inizialmente era stato affidato il ruolo di protagonista fosse Julianne Moore, figura di prestigio che avrebbe però inevitabilmente portato alla realizzazione di un film molto diverso.  Quello che è arrivato al pubblico conviene tenerselo ben stretto: le fattezze goffe e sgraziate di Melissa McCarthy, che non intendono necessariamente riproporre l’immagine fisica della vera Lee Israel, sono, unitamente ai suoi improbabili abbigliamenti, qualcosa a cui chi ha visto il film non saprebbe mai più rinunciare. Nemmeno a vantaggio della bravura e del fascino della Moore.

/// il trailer ///

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.