Le visioni cinematografiche a volte si sovrappongono creando inattese connessioni. E’ un po’ quello che mi è accaduto dopo aver visto, di recente, un’interessante opera prima cipriota, Torna a casa, Jimi, che parlando di confini politici mi ha ricondotto, soprattutto su basi terminologiche, al meraviglioso Border – Creature di confine, visto ed amato qualche settimana prima. Due opere molto diverse tra loro che, dinanzi ad una linea che divide, affermano la comune necessità di ritrovare identità ed appartenenza.
Quando il cinema rompe i confini
La storia del cinema è piena di racconti provenienti dalle linee di confine. Penso a La gabbia dorata, che ci immergeva nel dolore dei profughi al confine tra Stati Uniti e Messico ancor prima dell’atroce deriva trumpiana. O penso anche al leggermente più morbido Il figlio dell’altra, che affrontava un dramma genitoriale consumato lungo il confine della Cisgiordania. Racconti che rappresentano, già solo per il fatto di averli denunciati, il superamento e la rottura di quei confini.
L’argomento è dannatamente serio, perchè portatore di divisioni e conflitti, e i toni di queste narrazioni hanno quasi sempre assunto un carattere dolente. Capita però ogni tanto che qualche autore si renda conto che la ricerca di differenti linguaggi può aiutare a comunicare con un pubblico più vasto ed è così che nascono opere di sorprendente leggerezza e profondità, termini che non dobbiamo mai considerare antitetici.
I toni leggeri della commedia sono quelli sui quali è più facile costruire un dialogo con il pubblico e certamente è stata questa la spinta creativa che ha portato il regista greco-cipriota Marios Piperides ad utilizzare, nel suo Torna a casa, Jimi, toni farseschi per raccontare le paradossali esperienze di chi si trova ad attraversare il confine che ancora divide in due la piccola isola di Cipro. Così come la stessa dinamica sembra essere alla base del lavoro del regista palestinese Sameh Zoabi che ha immaginato di poter ricompattare per pochi minuti al giorno “due popoli in eterno conflitto” intorno alla passione per una soap opera televisiva di grande successo. Dalla sua felice idea è nato il divertente Tutti pazzi a Tel Aviv (in uscita nelle sale italiane il 9 maggio), che a Venezia si era fatto lungamente applaudire con il titolo di Tel Aviv on fire grazie alle rocambolesche avventure di un improvvisato sceneggiatore costretto ad attraversare molte volte al giorno il rovente confine israelo-plestinese.
I confini raccontati dal cinema spesso però sono immaginari, sono i confini tra il bene e il male che ognuno di noi porta dentro se stesso ed i toni della favola (orrorifica) scelti dal regista svedese di origini iraniane Ali Abbasi, si rivelano, dal canto loro, perfetti per incorniciare questo suo piccolo prodigio cinematografico che è arrivato a noi con il titolo di Border – Creature di confine.
Border – Creature di confine
E allora partiamo proprio da qui, da questa meravigliosa opera che ci racconta come si vive sul confine dell’inquietudine, quando il dilemma dell’essere è proprio il mistero dell’appartenenza. La politica questa volta non c’entra, ma il racconto se ne fa certamente metafora. Siamo ad un controllo doganale: attraverso quel confine, in apparenza, può passare chiunque ma di guardia c’è Tina che ha una straordinaria abilità nello scoprire ogni sostanza illecita che lo attraversa. Tina è bravissima soprattutto a fiutare ciò che alcuni viaggiatori pensano di poter occultare negli anfratti della propria anima, la colpa e la malvagità, la paura e la vergogna. Il film, premiato lo scorso anno a Cannes come miglior film della sezione Un certain regard, è tratto da un racconto intitolato Confine, scritto nel 2005 e pubblicato all’interno della raccolta Muri di Carta dallo scrittore John Ajvide Lindqvist, lo stesso che nel 2006 diede alle stampe Lasciami entrare, da cui fu poi tratto nel 2008 lo splendido film omonimo diretto da Thomas Alfredson.
Tina ha un aspetto sgraziato, per certi versi mostruoso, che sembra negare allo spettatore l’accesso ad un rapporto empatico, come se quel corpo così respingente rappresentasse un confine invalicabile. La sua interiorità è però ben diversa dall’apparire e quell’aspra corteccia che la protegge e la camuffa si frantuma in mille pezzi quando, al solito varco, incontra Vore, una creatura dai tratti molto somiglianti ai suoi, che la costringe a rimettere in discussione la sua intera esistenza. Da questo momento in poi il film costringe anche lo spettatore a rivedere continuamente le proprie certezze. Ogni apparenza si rivela mendace ed il senso della sorpresa si palesa ad ogni scena. Il film cambia pelle continuamente riuscendo a trasmutare con grande disinvoltura da un genere all’altro, facendosi un po’ favola romantica, un po’ thriller poliziesco, un po’ fantasy horror. Nell’immaginifica rappresentazione cinematografica di un mondo fiabesco il regista non perde mai di vista l’analisi del sociale e la denuncia dell’orrore nel quale gli uomini vivono divorando senza pietà ciò che essi stessi hanno creato. Border è un film sullo spaesamento esistenziale, sulla continua ricerca di identità, le Creature di confine potrebbero tranquillamente essere anche dei profughi in mezzo al mare o degli uomini costretti a vedere la propria terra spaccata in due da un confine che puzza di odio.
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Torna a casa, Jimi – 10 cose da non fare quando perdi il tuo cane a Cipro
A questo punto anche il confine tra le due opere è rotto e noi siamo pronti a ripartire da quel “non luogo” in cui abbiamo incontrato Tina e Vore per ritornare sull’isola Cipro. Qualcuno probabilmente sorriderà davanti alla provenienza geografica di questo film, ma il bello del cinema sta proprio in questo suo non conoscere confini e nella capacità di portarci in ogni angolo del mondo a contatto con realtà che abbiamo sempre ignorato o quantomeno trascurato. Riguardo alla controversia che si consuma da oltre 50 sull’isola tra la comunità greca e quella turca, culminata nel 1974 nell’occupazione turca dei territori del nord e nel 1983 nella proclamazione della mai riconosciuta Repubblica Turca di Cipro del Nord, la comunità internazionale si è mostrata sempre piuttosto indifferente. Ben venga quindi un film che con toni delicati e leggeri invita a non dimenticare e magari a documentarsi sull’assurdità di questa situazione che grava pesantemente sulle spalle di chi la vive.
A Nicosia, qualche piano più su di un negozio di biancheria sulla cui serranda campeggia la scritta “no borders” vivono Yannis, un musicista in piena crisi esistenziale dopo che la sua fidanzata lo ha lasciato per un altro uomo, e Jimi, il suo cane bastardo, che deve il proprio nome al leggendario chitarrista Jimi Hendrix (il titolo originale è un più simpatico Smuggling Hendrix). Yannis è alle prese con creditori senza scrupoli e sta per fuggire in Olanda quando a complicare i suoi piani ci pensa Jimi che in uno slancio di libertà finisce nella zona turca. Recuperarlo non è impresa difficile, ma è proprio quando Yannis sta per riportarlo a casa, attraversando il confine in senso inverso, che ha inizio la commedia dell’assurdo. Gli stessi greci, che avevano irriso i turchi per la severità dei controlli al transito degli esseri umani, si mostrano irremovibili quando si tratta di far rientrare il cane entro i propri confini appellandosi alla norma che vieta l’ingresso di animali e merci provenienti dai territori occupati perchè potenzialmente infetti. Dietro la richiesta di aiuto che Yannis rivolge, forzatamente e senza troppa fortuna, ad un turco occupante la sua vecchia casa di famiglia e ad un turco-cipriota dedito alle piccole truffe si nasconde uno splendido inno all’amicizia e alla comprensione tra i diversi (ciascuno ha il suo dramma da raccontare e alla fine l’altro è sempre pronto ad ascoltare). Nel turbinio di situazioni e sensazioni, che conferisce, insieme alla bella colonna sonora, un buon ritmo alla narrazione, c’è ampio spazio anche per Kika, la sua ex fidanzata, che ci regala un momento quasi fiabesco quando conduce Yannis al di là del confine attraverso un passaggio segreto. Anche Torna a casa, Jimi vanta un prestigioso palmares, avendo ottenuto il riconoscimento come migliore film del Tribeca Film Festival nel 2018.
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