120 battiti al minuto. Un canto di vita e morte

Il bellissimo film di Robin Campillo, vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, reduce da un grande successo di pubblico in Francia e considerato tra i più seri candidati all’Oscar per il miglior film straniero, è uscito in Italia ai primi di ottobre accompagnato da grandi polemiche.

120 battiti al minuto

Il film racconta un periodo storico di cui il regista fu direttamente protagonista tra la fine degli anni ’80 ed i primi anni ’90, quello della nascita di Act Up Paris, immediata derivazione dell’omologo movimento americano nato per diffondere la conoscenza dell’AIDS e chiederne cure efficaci. “120 battiti al minuto” ci porta a stretto contatto con il collettivo francese facendoci vivere, come fossimo nel cuore di quegli anni, le lunghe estenuanti discussioni che avvengono all’interno della sede parigina di Act Up. La pluralità di idee riflette le diverse istanze di ogni singolo personaggio ed è importante notare come il dramma sia trasversale e non investa solo la comunità omosessuale. Nel film una voce ascoltata sempre con grande attenzione e rispetto è quella di una madre che partecipa alle riunioni accompagnando suo figlio infetto a causa di una trasfusione. Ai dibattiti in sede si alternano, con un montaggio vibrante, le scene delle azioni dimostrative che i rappresentanti di Act Up compiono con improvvise e pacifiche irruzioni all’interno degli uffici delle aziende farmaceutiche, nelle aree congressuali e persino nelle scuole. Il lancio di sacche di sangue finto, una delle forme di protesta più spettacolari e plateali, produce inquietudine negli spettatori, ma al tempo stesso offre la misura dell’energia vitale del movimento.

Nel film sono evidenti tutti gli elementi classici del cinema di Campillo, che ha alle spalle altre due regie e molteplici sceneggiature. C’è sicuramente molto di “Entre les murs” (“La classe”), il film di Laurent Cantet, sceneggiato da Campillo, che trionfò a Cannes nell’anno di “Gomorra e “Il divo”.“Tra le mura” della sede del movimento, come tra quelle de “la classe” lo spettatore è coinvolto in un dibattito teso e veemente ma comunque armonico e costruttivo. Quando invece la scena si sposta all’esterno immediatamente ritroviamo l’elegante definizione degli spazi, la sofferta rappresentazione dei corpi e la crescente tensione dell’azione che avevano caratterizzato il suo meraviglioso “Eastern boys”, premiato nel 2013 come miglior film della sezione Orizzonti a Venezia.

120 battiti al minuto

La prima parte del film si sviluppa in maniera assolutamente corale dando voce ai diversi membri del collettivo (la portavoce Sophie è interpretata da Adèle Haenel che recentemente era stata protagonista per i Dardenne ne “La ragazza senza nome”). Progressivamente però il racconto si sposta in una sfera più privata, raccontando con estremo pudore l’incontro, anche fisicamente esplicito, tra il mite e delicato Nathan e il più irruento ed estroverso Sean, che più di tutti porta sul corpo i segni della malattia. Il racconto dell’intimità, della carnalità e della sofferenza trovano, nella seconda parte, il loro contraltare nelle sempre più imponenti manifestazioni di piazza contro il governo Mitterand con cui Campillo continua a riempire gli occhi dello spettatore di colore e voglia di vivere. Un emozionante remix di “Smalltown boy” dei Bronski Beat ci accompagna ai diversi epiloghi facendo da preludio ad una delle scene più belle e suggestive del film in cui si realizza (ma noi non vi anticipiamo nulla) quello che era stato uno dei progetti scenici più ambiziosi del movimento. La colonna sonora curata dal dj Arnaud Rebotini è assoluta protagonista riuscendo ad assecondare i repentini cambi di scena e di registro narrativo e non è un caso che i 120 bpm del titolo facciano riferimento proprio alla terminologia dell’house music. Il finale ci riserva l’ennesima sorpresa: i battiti calano bruscamente e i ritmi frenetici fanno posto ad una lunghissima sequenza in cui Campillo lascia che ogni gesto, ogni emozione sedimenti lentamente mentre il gruppo si ritrova per affrontare insieme il momento più difficile.

In occasione dell’uscita italiana ha fatto molto scalpore la presa di posizione della Teodora Film, distributrice nazionale del film, da sempre attenta alle tematiche LGBT, che, dopo aver espresso la propria amarezza per il divieto ai minori di 14 anni imposto dalla censura e per le poche sale concesse nella prima settimana di programmazione, ha pesantemente inveito contro la stessa comunità LGBT italiana accusandola di aver mostrato scarso interesse per un film che intende ribadire la drammatica attualità di un tema di cui oggi quasi non si parla più.

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